IL GRANDE LENIN

Per un socialismo democratico

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La guerra civile per evitare quella mondiale

Nel suo Progetto di Programma del partito bolscevico russo, pubblicato il 25 febbraio 1919 sulla “Pravda”, Lenin era convinto che la rivoluzione d'Ottobre avrebbe potuto dare il via a una rivoluzione mondiale del proletariato, e di ciò – a suo giudizio – dava conferma il fatto che nell'impero austro-ungarico e in Germania si stava approfittando della sconfitta di questi Stati, avvenuta nel corso della prima guerra mondiale, per compiere un rivolgimento simile a quello russo.

Nel suo linguaggio marxista, la rivoluzione comunista era opera del proletariato industriale, appoggiato dai contadini più poveri e dal semi-proletariato, ovvero dagli agricoltori salariati, privi di proprietà terriera, e dagli operai avventizi, precari, non stabilmente inquadrati. La rivoluzione non poteva essere fatta che dai lavoratori privi di qualunque proprietà, che non fossero le proprie braccia e la propria mente (anche chi fa un lavoro impiegatizio, campando del proprio stipendio, non è che un salariato intellettuale).

Lenin riteneva inevitabile la transizione dal capitalismo al socialismo, a motivo del fatto che l'ulteriore sviluppo del capitalismo in imperialismo sfocia inevitabilmente nelle guerre mondiali. Quindi il passaggio è necessario proprio perché il capitalismo, quando giunge a un certo livello di sviluppo non è più in grado di autogestirsi, in quanto le immani distruzioni, compiute quotidianamente, arrivano a minacciare il suo stesso ciclo riproduttivo.

Il capitalismo funziona finché c'è qualcosa da rapinare, da accaparrare con ogni forma e mezzo (lo sfruttamento indiscriminato delle risorse umane e naturali). Nella fase iniziale questo processo avviene all'interno dello stesso paese che ha visto decollare il sistema industriale; successivamente il processo tende a trasferirsi verso i paesi sottoposti a colonizzazione, riducendo l'impatto devastante nel paese d'origine. Quanto più le colonie si oppongono a questo trend, tanto più il capitalismo mondiale deve ricorrere a sofisticati mezzi di sfruttamento (economico-finanziari, tecno-scientifici, ideologico-propagandistici...), utilizzando quelli esplicitamente militari solo in casi estremi, come nella prima e nella seconda guerra mondiale, ivi incluse tutte le guerre locali-regionali.

I classici del marxismo avevano già individuato che lo sviluppo incessante delle forze e dei mezzi produttivi comportava una progressiva concentrazione delle industrie nelle mani di pochi centri di potere (trust monopolistici, sostenuti dallo Stato), nonché una forte centralizzazione dei capitali in virtù del nesso industrie/banche. Processi del genere finiscono col mandare in rovina i piccoli produttori, aumentando le fila del proletariato e dei disoccupati, i quali, così, vengono sempre meno assorbiti dalle aziende, anche perché queste tendono a risparmiare sul costo del lavoro, preferendo fare investimenti sui macchinari o delocalizzando la propria attività verso aree geografiche dove il costo del lavoro può essere meno oneroso, senza essere dequalificato. Un qualunque ulteriore sviluppo delle forze produttive non fa che provocare l'inevitabile sovrapproduzione delle merci invendute o la loro vendita sottocosto.

È difficile che in condizioni del genere non scoppino conflitti bellici. Ecco perché Lenin diceva che le guerre sono il momento ideale per mostrare che la transizione al socialismo è necessaria. Come riteneva inevitabile il superamento del feudalesimo da parte del capitalismo, così la pensava per i rapporti di questo col socialismo. La storia – secondo lui – si muove secondo la categoria hegeliana della necessità. Anche Marx la pensava così. La differenza tra i due stava soltanto nel fatto che per Lenin il fattore soggettivo era estremamente importante per agevolare al meglio il processo storico.

Marx, Engels e Lenin non hanno mai messo in discussione il fatto che il socialismo dovesse ereditare il meglio dello sviluppo tecnico-scientifico della società borghese. Il socialismo doveva unicamente socializzare la proprietà privata dei principali mezzi produttivi. In questo sta il loro limite.

In particolare Lenin auspicava una rivoluzione mondiale socialista anche per evitare nuove guerre mondiali. I partiti socialcomunisti avrebbero dovuto approfittare delle indicibili sofferenze causate dalla guerra mondiale per sferrare un colpo demolitore contro i governi borghesi dei loro rispettivi paesi. Su questo aspetto durissima era la sua critica ai partiti di sinistra che si erano lasciati corrompere dalla propaganda borghese a favore della guerra.

Lenin era ottimista quando esaminava oggettivamente le condizioni della transizione al socialismo, ma diventava pessimista quando osservava il comportamento soggettivo dei partiti che si richiamavano alle idee di Marx. In Europa occidentale la rivoluzione non si riusciva a fare proprio a causa dell'opportunismo e socialsciovinismo dei leader socialisti.

Egli aveva perfettamente chiaro il nesso tra sfruttamento coloniale (operato dall'occidente) e opportunismo dei dirigenti socialisti. Scriveva: “i paesi capitalisti avanzati depredando i popoli coloniali e deboli, hanno dato alla borghesia la possibilità di corrompere lo strato superiore del proletariato con le briciole dei sovrapprofitti ottenuti con tale rapina, di assicurare loro in tempo di pace un'esistenza piccolo-borghese sopportabile e di mettere al proprio servizio i capi di questo strato”.

Questa corruzione dei dirigenti socialisti aveva poi portato ad appoggiare, in varie forme e modi, da parte dei medesimi dirigenti, la scelta dei governi borghesi nazionali di scatenare la guerra mondiale di rapina. Ecco perché Lenin chiedeva di trasformare la guerra tra nazioni in guerra civile all'interno di ogni singola nazione. Per lui era semplicemente vergognoso far combattere il proletariato di una nazione contro quello di un'altra, al fine di fare gli interessi delle rispettive borghesie.

La sinistra euro-occidentale, nel suo complesso, non riuscì a comprendere questo appello, e ciò favorirà enormemente l'ascesa, finita la prima guerra mondiale, del nazifascismo. Ancora oggi l'analisi degli storici occidentali, su questo tema, è del tutto inadeguata. È rarissimo vedere uno storico ammettere l'idea che per evitare una guerra mondiale è preferibile scatenare una guerra civile all'interno di un paese i cui dirigenti politici sono favorevoli all'interventismo.


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Teorici
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