LA SVOLTA DI GIOTTO
LA NASCITA BORGHESE DELL'ARTE MODERNA

DIBATTITO SU GIOTTO

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Io penso che un essere umano sufficientemente consapevole di sé e privo di interessi materiali che vadano oltre la necessità della propria sopravvivenza, si senta in un certo senso responsabile per le sorti dell'umanità, qualunque azione possa compiere nel suo piccolo ambito spazio-temporale.

Cioè voglio dire uno può sentirsi responsabile per il partner, i figli, i propri genitori, gli amici, i concittadini, ma poi ad un certo punto la sfera s'allarga e finiamo col sentirci responsabili, in un modo o nell'altro, anche di persone molto lontane, che non conosciamo.

Questo è tanto più vero quanto più si ha consapevolezza che sulla terra le cose sono legate tra loro: con le due guerre mondiali, ma anche prima, col colonialismo europeo, questo ci è diventato molto evidente. Ci siamo accorti che un evento lontano da noi può fungere da detonatore per un effetto più o meno grande in un luogo molto lontano.

Ebbene se questo è vero per le guerre, la tecnologia (ma pensa anche ai disastri ambientali, come gli incidenti nucleari o quelli connessi al trasporto del petrolio), perché non deve esserlo anche per l'arte?

Se uno si sente responsabile per le sorti dell'umanità, perché non dovrebbe sentirsi legittimato quanto rifiuta l'idea di dover accettare qualunque tipo di produzione artistica, espressa in qualsivoglia forma?

Per quale motivo dovrei accettare l'idea che anche nel caso in cui una determinata produzione artistica giunga ad un certo punto a negare un vero valore all'arte, gli uomini saprebbero comunque ricominciare da capo e riscoprire in loro stessi nuove linfe vitali in senso artistico?

Questa condiscendenza alla prassi dell'arbitrio artistico non posso condividerla, anche se mi rendo conto che effettivamente gli uomini sono in grado di far tesoro dei loro errori, e ripresentare in nuove forme artistiche la loro dimenticata umanità.

Se uno vuole sentirsi libero di esprimersi come gli pare, anch'io voglio sentirmi libero di dire ciò che può servire al bene comune e ciò che invece serve alla sola affermazione dell'artista.

Dico questo proprio in relazione al discorso introduttivo, secondo cui se ogni cosa è interconnessa, un'espressione artistica negativa potrebbe avere un riflesso negativo su altri aspetti della vita sociale, del mio e di altri paesi.

In altre parole, a me non piace l'idea di dover applicare dei criteri etici solo a quel tipo di arte che appare evidentemente contraria al buon gusto, al senso comune ecc. L'arte non è solo il bello ma anche il vero, il buono e l'utile.

Uno può agire in campo artistico come vuole, ma deve comunque sapere che non è questo il modo di rappresentare le esigenze del popolo.

Tu mi critichi di avere una concezione strumentale dell'arte. Io potrei dire che tu vedi l'artista come una Vestale intoccabile, come un profeta veterotestamentario o, paradossalmente, come lo scemo del villaggio, tutti autorizzati a dire quello che vogliono, a condizione che il loro dire e il loro fare resti entro i limiti dell'espressione individuale. Perché togliere all'artista la possibilità di un'incidenza sulla vita sociale?

Se fra artista e pubblico c'è poca comprensione, si tratterà di migliorare la comunicazione, la fruizione dell'opera d'arte, di dare concretezza all'ispirazione artistica.

Ti dico questo perché soprattutto oggi, dove il concetto vero di "arte" è talmente morto e sepolto che ciò che più interessa non è tanto la sua produzione quanto piuttosto la sua "riproduzione". Un oggetto d'arte non riproducibile o vale cifre astronomiche (se è stato debitamente reclamizzato), quelle cifre battute nelle aste, dove però anche la poltrona di Kennedy o il reggiseno di Marylin possono costare come un grande capolavoro impressionista, oppure non vale nulla, ovvero è soggetto a delle oscillazioni di prezzo talmente grandi da far pensare a una "bufala".

Oggi chi acquista ciò che gli piace, ciò che gli trasmette qualcosa e non acquista invece ciò che secondo i critici avrà un futuro nelle quotazioni di mercato, è sicuramente uno che non capisce nulla di arte, perché il vero concetto di arte oggi non lo fa l'artista quanto il critico, il gallerista, il direttore di un museo, i network dedicati al tema, cioè gli affaristi del mestiere.

Oggi l'arte ha smesso di essere spontanea e l'artista produce ciò che il mercato richiede.

La cultura occidentale, sotto questo aspetto, non ha più niente da dire, né sul piano etico né su quello estetico: l'unica cosa che può fare è mettersi ad ascoltare le esigenze della gente comune. La rappresentazione dei bisogni, delle contraddizioni, del lavoro, delle aspettative di una vita migliore possono costituire un input formidabile per la ripresa della "vera arte".

Ma ci vuole coraggio. Nessuno oggi accetterebbe la proposta di diventare il più grande artista del XXI secolo a condizione che per tutta la sua esistenza egli sia costretto a fare la fame (che poi è stata per gran parte la vita di van Gogh).

Enrico Galavotti


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Arte
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Aggiornamento: 11/09/2014