LA SVOLTA DI GIOTTO
LA NASCITA BORGHESE DELL'ARTE MODERNA

DIBATTITO SU GIOTTO

I - II - III - IV - V - VI - VII - VIII - IX - X - XI - XII - XIII - XIV - XV - XVI - XVII - XVIII - XIX - XX - XXI - XXII - XXIII - XXIV - XXV - XXVI - XXVII - XXVIII - XXIX - XXX - XXXI

G.N.) Questo in realtà non lo sappiamo, sia perchè ci troviamo in epoche di regimi dispotici teocentristici...

E.G.) Gli iconografi dipingevano una tradizione che condividevano, e questa tradizione io non mi sentirei affatto di dire ch'era più dispotica di quelle odierne occidentali, solo perché quella era teocentrista mentre le nostre sono democratiche. Se c'è un concetto incredibilmente ambiguo è proprio quello di "democrazia", che non a caso è nato in un paese, la Grecia, i cui filosofi non mettevano assolutamente in discussione i rapporti schiavistici, esattamente come oggi non mettiamo in discussione quelli basati sul salariato.

G.N.) ... trattandosi di un grande artista ciò che importa alla critica non è il personaggio Giotto come uomo, ma l’importanza e la trascendenza della sua opera...

E.G.) Anche questo modo di vedere le cose è occidentale e io non riesco più a condividerlo. Cioè non riesco più ad accettare l'idea che in nome della genialità di un artista si debba soprassedere sulla sua vita personale. Il fatto che un artista abbia vissuto una vita da folle dovrebbe farmi riflettere sull'effettiva utilità sociale della sua opera. Se devo scegliere tra un artista che ha saputo esprimere magnificamente la sua alienazione e un artigiano che ha saputo esprimere con meno talento le esigenze del popolo, i suoi sentimenti... preferisco senza dubbio quest'ultimo.

Che cos'è un'opera d'arte? Quale funzione deve avere? Se non fossimo condizionati dall'individualismo borghese noi dovremmo dire che un artista non è una persona "libera" in quanto monade isolata (alla Robinson), ma lo è in quanto consapevole dei condizionamenti della sua epoca, che non sono solo condizionamenti ma anche limiti entro cui vivere un'esistenza umana, le cui condizioni sono state tramandate dalle generazioni passate.

Oggi non viviamo più un'esistenza umana proprio perché non c'è più alcuna tradizione cui fare riferimento. Dunque per noi libertà vuol dire esprimersi liberamente, secondo la propria coscienza, che in realtà è il proprio arbitrio, che in realtà è l'illusione del proprio arbitrio, in quanto in realtà noi ci esprimiamo sulla base dei rapporti di forze dominanti. Il concetto stesso di "forza" indica un arbitrio. L'artista moderno dunque s'illude d'essere libero in un contesto in cui domina una determinata forza, quella della classe che governa.

Tutta la storia dell'occidente ha come tradizione quella della lotta tra classi opposte. L'artista deve continuamente tener conto di questa realtà.

Ebbene, secondo me, le contraddizioni sociali dell'area bizantina erano di molto inferiori a quelle coeve del sacro impero romano-germanico, sicché l'iconografo orientale si trovava a condividere più facilmente una tradizione di ideali religiosi, mentre quello occidentale ha cominciato a venir meno a questa realtà di condivisione proprio in concomitanza allo sviluppo del potere temporale pontificio e, in maniera decisiva, con la nascita dei rapporti borghesi, che sono una conseguenza indiretta dello sviluppo di quel potere.

Con la nascita del potere temporale s'è imposto in Europa occidentale il principio dell'individualismo (politico), che poi, col protestantesimo e la borghesia, s'è sviluppato a livello sociale e, sul piano geografico, ha trovato la sua massima espressione negli Stati Uniti, in cui il protestantesimo ha potuto svilupparsi senza le remore del cattolicesimo.

G.N.) Io interpreto le tue parole nel senso che fu Giotto, e solo lui, che per genialità o capriccio o interesse personale cambiò la pittura...

E.G.) Lungi da me sostenere una cosa del genere. Giotto interpretò magnificamente il suo tempo di transizione dalla tradizione bizantina a quella moderna, che era ed è ancora oggi umanistico-borghese, e se non ci fosse stato lui ce ne sarebbe stato un altro. Lo stesso potremmo dire di chiunque: sono le forze della storia che s'impongono...

Tuttavia mi guardo anche bene dal sostenere - come fa il marxismo - che queste forze siano una necessità naturale, che s'impone a prescindere dalla libertà dei soggetti. Non esiste alcun meccanismo naturale che ci porta di necessità a vivere un'esistenza umana o disumana. Diciamo che ci sono tendenze che vanno favorite o contrastate e che in questo lavoro di scelta in un senso o nell'altro si gioca la libertà umana. Ecco in tal senso Giotto esprime secondo me l'artista che ha scelto consapevolmente di mettersi a favore di una tendenza antipopolare, come è antipopolare (nella fattispecie anticontadina) qualunque scelta borghese.

Che poi dalle scelte compiute derivino necessariamente alcune conseguenze, questo è evidente, tant'è che, una volta partito il realismo giottesco, praticamente non s'è più riusciti a tornare indietro.

G.N.) Io credo che ci siano due tipi di grandi artisti: quelli che non apportano niente di nuovo, nel senso rivoluzionario, ma portano alla perfezione ciò che trovano, mentre altri anticipano i tempi, apportano soluzioni nuove, rivoluzionarie, perché lo sentono, ma a volte anche senza sentirlo, lo captano per pura intuizione.

E.G.) Che cosa vuol dire "rivoluzionario"? E' più rivoluzionario modificare l'esistente o conservarlo? Se l'esistente è umano perché modificarlo? Perché devo dire che non sono rivoluzionario quando voglio conservare un esistente che mi soddisfa? Perché devo considerare "rivoluzionario" uno come Giotto, che ha distrutto una tradizione secondo me più "umanistica" della sua, che era "borghese", e considerare Teofane il Greco un conservatore? Le sue Madonne della Tenerezza hanno una carica emotiva che non ho mai trovato in nessun dipinto religioso occidentale.

Noi occidentali abbiamo usato volentieri la parola "rivoluzione" per emanciparci dalla religione, dal medioevo ecc., salvo smentirci quando lo stesso concetto il marxismo lo voleva applicare al socialismo nei confronti del capitalismo.

Anche in Russia è avvenuta una "rivoluzione" quando lo stile occidentale è penetrato nella propria iconografia, e infatti Teofane il Greco, Rublev e Dionigi furono gli ultimi iconografi di grande livello. Poi l'iconografia russa diventò una cosa di una banalità disarmante, di molto inferiore al realismo giottesco.

G.N.) Come spiegheresti il cambio dall’arte greco arcaico a quello classico? Se non grazie al genio di Fidia, Mirone ed altri, grazie al clima democratico, risultato delle nuove idee social-politiche e filosofiche?

E.G.) Sull'arte greca vorrei dirti una cosa, che avrei già dovuto dirti l'altra volta. Per me è un'arte puramente estetico-intellettuale, è l'apoteosi del concetto di bellezza: uno la guarda e resta ammirato, ma tutto finisce lì. Non c'è trasporto, non c'è vera emozione, non c'è coinvolgimento personale col contenuto dell'opera. Il vero pathos poi non me lo dà il marmo, ma il dipinto, non la tridimensionalità ma la sguardo bidimensionale, la cui profondità è spirituale e non geometrico-spaziale.

Gli stessi artisti occidentali, che hanno voluto riprendere i modelli greco-classici (Michelangelo, Bernini...), non hanno potuto farlo con gli stessi occhi ingenui dei greci, ma han dovuto caricare quei modelli di sentimenti, stati d'animo, concezioni di vita molto drammatici, lacerati da un'esperienza cristiana divenuta impossibile, con temi sempre fortemente maschilisti o con sottintesi di tipo erotico, che denunciano appunto uno stile di vita borghese.

G.N.) L’artista non è, o non può essere soltanto, un portavoce della tradizione. La libertà creativa dell’artista va molto più in là. Se fosse così l’arte si sarebbe fermata al realismo dell’epoca rupestre.

E.G.) Il realismo dell'epoca rupestre secondo me è ai vertici dell'arte pre-cristiana. Cioè se devo guardare le cose dal punto di vista del realismo naturalistico, devo dire che l'epoca primitiva (a qualunque latitudine essa si sia espressa) è stata in assoluto la più significativa; se invece voglio guardare il realismo storico-umanistico, io non riesco a trovare ancora oggi qualcosa di superiore all'iconografia bizantina (quella greca in particolare, o quella russa fino a Rublev).

Tu dirai che questo genere di pittura non ha nulla di "realistico". Io invece ti dico che è "realistico" il modo di considerare l'essere umano, che non può essere trattato come un oggetto di natura, cioè non può essere rappresentato come se si stesse guardando un aspetto della natura. I bizantini avevano capito la complessità, la profondità dell'essere umano e quando guardo un'icona lo capisco, pur non condividendo il messaggio religioso.

Voglio dirti che questa loro capacità oggi vorrei vederla in chiave ateistica, ma non la trovo. L'arte socialista è interessante dal punto di vista politico-sociale (di critica, di denuncia...), ma su quello umano è scarsa, non mi dà le stesse emozioni di un'icona. E quella borghese, quando vuole essere umanistica, esprime solo alienazione, lacerazione interiore, arbitrio...

Realismo dovrebbe voler dire "ascoltare la realtà" e non tanto o non in primo luogo se stessi, e interpretare quella realtà in modo intelligibile. La realtà non è mai l'io, ma l'io che si rapporta agli altri e che vede gli altri come parte costitutiva di sé. Il realismo dell'Europa occidentale è stato invece soltanto un'indebita ingerenza del primato dell'io nella percezione della realtà. E oggi la realtà viene rappresentata in maniera così spersonalizzata che praticamente l'io non è più in grado di riconoscersi. L'io ha distrutto la realtà e questa ha ricambiato impedendo all'io di essere se stesso.

G.N.) ... E' ‘Il grido’ di Munch! La tradizione se ne è andata al diavolo. E' il ‘secolo maledetto’ in cui ci toccò vivere, Che cosa ci vuoi fare?

E.G.) Ormai non faccio più questione di destra e sinistra, di rosso o di nero, per me la questione non è più come uscire dal capitalismo, ma come uscire dall'occidente e dal suo concetto di "civiltà".

In campo artistico la civiltà borghese è nata con Giotto e io non vedo il modo di superare questo tipo di arte né tornando all'iconografia bizantina, che esprimeva valori religiosi in cui oggi non è più possibile credere, né operando variazioni antiborghesi sul tema: l'arte socialista.

Non ci potrà mai essere alcuna alternativa al realismo borghese di Giotto se prima non usciamo dalla civiltà occidentale. Non m'interessa un miglioramento di questa civiltà in nome della razionalizzazione (Stato sociale, Welfare ecc.) di cui parla la sinistra. Dobbiamo rinunciare al concetto di "civiltà".

G.N.) ... le icone non si considerarono opere d’arte nemmeno tra i russi, ma solo immagini popolari religiose.

E.G.) Su questo il discorso si fa davvero complesso. Ho cercato di capire le differenze tra l'iconografia russa e quella greca e sono arrivato alle seguenti conclusioni: l'iconografia greca resta superiore a quella russa, come è superiore secondo me una rappresentazione oggettiva della realtà (inclusa quella umana) rispetto a una soggettiva.

Guardando le icone bizantine appare subito chiaro che il legame con la tradizione cristiana (e se vogliamo anche pre-cristiana) è molto più forte di quello che si può notare nelle icone russe, il cui cristianesimo era molto più recente e quindi meno radicato. Sono andato 15 giorni in Grecia e all'Aghion Oros per cercare di capire questa cosa.

Il cristianesimo russo è più individualista di quello greco e infatti le migliori icone russe restano più sentimentali di quelle greche. Leggiti cosa ho scritto a proposito di Rublev.

L'iconografia russa, proprio perché più psicologica, ha resistito di meno all'impatto del condizionamento occidentale. E il meglio di sé l'ha dato quando, conclusasi l'esperienza dell'iconografia bizantina, a causa dell'invasione turca, gli iconografi russi, appena liberatisi dal giogo mongolo, si sentivano più liberi di esprimersi tenendo meno in considerazione i canoni che per secoli avevano rispettato. Ma quanto tempo è durata questa innovazione? Come mai un artista come Rublev non è riuscito ad avere alcun seguace?

Qui si ripete, in forma molto più attenuata, quanto era già avvenuto con Giotto: l'individualismo dell'artista, che si sentiva superiore alla tradizione ricevuta, ha inaugurato una pittura che col tempo è diventata di qualità scadente. Con una differenza, che mentre in occidente Giotto aveva dato vita a una tradizione artistica borghese che si perfezionerà ulteriormente in questa direzione; viceversa in Russia, essendo rimasta di religione ortodossa, si cercò un compromesso tra i vecchi canoni bizantini e quelli nuovi occidentali producendo alla fine un vero e proprio obbrobrio.


Bibliografia

Cyril Mango, Storia dell’architettura bizantina, Electa, Milano 1978
Enrico Zanini, Introduzione all’archeologia bizantina, Carocci, Roma 1994
Hans Belting Il culto delle immagini. Storia dell’icona dall’età imperiale al tardo Medioevo, Carocci, Roma 2001
Antonio Iacobini, Visioni dipinte. Immagini della contemplazione negli affreschi di Bawit (Studi di arte medievale, 6), Viella, Roma 2000
Giovanna Parravicini, Ol’ga Popova, Engelina Smirnova, Bisanzio e la Rus’. Dagli esordi a Teofane il Greco, La Casa di Matriona, Milano 1999
Kurt Weitzmann, La decorazione libraria del IV secolo: tradizione e innovazione, in Uomini, libri e immagini. Per una storia del libro illustrato dal tardo Antico al Medioevo (Nuovo Medioevo, 58), a cura di Lucinia Speciale, Liguori, Napoli 2000
A. Džurova, La miniatura bizantina. I manoscritti miniati e la loro diffusione, Jaca Book, Milano 2001
G. Cavallo, Testo e immagine: una frontiera ambigua, in Testo e immagine nell’Alto Medioevo, «XLI Settimana di Studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto, 15-21 aprile 1993», I, Spoleto 1994, pp. 31-62.

Enrico Galavotti


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Arte
 -
Stampa pagina
Aggiornamento: 11/09/2014