LA SVOLTA DI GIOTTO
LA NASCITA BORGHESE DELL'ARTE MODERNA

DIBATTITO SU GIOTTO

I - II - III - IV - V - VI - VII - VIII - IX - X - XI - XII - XIII - XIV - XV - XVI - XVII - XVIII - XIX - XX - XXI - XXII - XXIII - XXIV - XXV - XXVI - XXVII - XXVIII - XXIX - XXX - XXXI

Penso che tu convenga con me sul fatto che quanto ci stiamo dicendo non ha nulla in sé di originale, poiché i termini di questo dibattito sono ben noti alla storia della concezione dell'arte di tutti i tempi.

Nella mia vita ho sempre pensato che le discussioni più che a servire a convincere l'interlocutore, sono un'ottima occasione per precisare meglio le proprie posizioni.

Infatti anche quando si usano le parole più neutre, più scientifiche, sotto si cela sempre una determinata concezione di vita, che a sua volta riflette, in qualche modo, l'esperienza di questa stessa vita.

Voglio però metterti in guardia su questo: quando io parlo di "tradizione popolare", di "sentire comune"... lo faccio non perché sia effettivamente impegnato in un'organizzazione sociale o politica, ma semplicemente perché ricordo la mia giovinezza, la mia passata partecipazione alla costruzione di un ideale di vita, e ricordo bene che in quei momenti ci si sentiva molto più vivi che non a studiare sui libri o a fare pagine web, come oggi.

Tuttavia, a differenza di molti miei coetanei, che si sono rassegnati al trend di questo sistema borghese, io non ci sono riuscito e continuo a vivere di speranze, a ricordo del tempo che fu, quelle speranze che oggi attorno a me vengono considerate mere illusioni.

Detto questo, mi guardo bene dal giudicare chi ha percorso strade diverse, chi per così dire "non ha resistito", come d'altra parte difficilmente oggi mi lascerei coinvolgere in esperienze in cui l'elemento giovanilistico avesse la prevalenza.

Ora, quanto fino adesso ti ho scritto debbo dirti che non è farina del mio sacco. La mia concezione dell'arte è "mia" per modo di dire, poiché se ti vai a rileggere i classici del marxismo e del leninismo la ritrovi al 99%. Basta prendere in esame, nelle opere di Plechanov, la parte relativa ai rapporti tra arte e società per rendersene conto.

Io provengo da quella "tradizione letteraria", alla quale ho cercato di aggiungere alcune considerazioni di tipo "umanistico", per evitare il ripetersi degli errori del "socialismo reale"; che sono poi quelle considerazioni relative all'analisi dell'iconografia bizantina.

Ti dico questo perché tu sappia bene con chi stai discutendo. Faccio parte di una specie in via di estinzione, la cui cultura, nell'ambito degli attuali media, ha un impatto vicino allo zero. E non potrebbe essere diversamente, poiché nessuno si mette a parlare di ciò che non si può neppure sognare, soprattutto dopo la caduta del muro di Berlino e l'implosione dell'Urss.

Questo per dirti che quando critico la concezione dell'arte per l'arte, lo faccio a ragion veduta. Se anche tu non fossi un marxista e ti andassi a rileggere qualcosa di Cernyscevski, di Dobroliubov, di Belinski, di Herzen... scopriresti che tutti costoro (assai poco noti in occidente) la pensano allo stesso modo. In Russia è sempre stato molto raro incontrare un artista o un critico d'arte che non volesse dare all'arte una valenza pedagogica.

Certo, di questa funzione strumentale si sono serviti anche i governi reazionari dello zarismo (come d'altra parte tutti i governi di tutti i paesi del mondo, di ieri e di oggi), però è indubbio che una concezione dell'arte per l'arte è sempre stata considerata molto meno importante di quella dell'arte per la vita.

Inutile dirti che in Europa occidentale, ma penso anche negli Stati Uniti, se qualcuno osasse parlare di arte strumentale, subito verrebbe tacciato di favorire una "Musa di Stato", come al tempo del nazi-fascismo.

Sicché da un lato abbiamo un'arte assolutamente libera di esprimersi come vuole (al castello di Rivoli presso Torino vollero farmi credere che era "arte" anche un cavallo imbalsamato appeso al soffitto di una stanza), e dall'altro una massiccia applicazione del genio artistico alle esigenze commerciali dell'industria.

L'arte da noi è libera, libera di servire il capitale. Un'arte proletaria, per il popolo non ha senso, non troverebbe acquirenti. Da noi la sinistra non riuscì neppure a capire il "Quarto Stato" di Pellizza da Volpedo!

L'arte per l'arte io l'ho sempre considerata come una fuga dalla realtà, come un tentativo, un po' superficiale, di sopravvivere a contraddizioni sociali giudicate irrisolvibili. Questo tipo di arte ha un senso nell'immediato, nel provvisorio, perché in fondo a nessuno dispiace l'idea che - come disse Turghenev - "la Venere di Milo sia meno contestabile dei principi del 1789", e se vuoi posso anche accettare la pop art di Andy Warhol come una forma transitoria di provocazione estetica, ma solo nella consapevolezza che prima o poi bisogna riprendere i temi forti della vita sociale, per il bene stesso dell'arte, altrimenti destinata a vivere nell'effimero.

Questo che ti dico per le arti plastiche vale anche per la poesia e la letteratura in genere. Infatti, quasi tutti i nostri manuali scolastici di letteratura sono impostati sull'arte per l'arte, nel senso ch'essi preferiscono mettere in evidenza non l'artista impegnato civilmente, socialmente, politicamente, ma quello più capace di usare la tecnica del poetare e capace di trasmettere, attraverso questa tecnica, sentimenti umani di tipo psicologico, emotivo, intimistico o interiore, comunque soggettivo, esistenziale...

In questi manuali tutta la letteratura risorgimentale, piena di pathos politico, di impegno civile, ha un valore del tutto trascurabile. Ufficialmente il silenzio su questa letteratura è motivato col fatto ch'essa stilisticamente vale infinitamente meno dell'altra.

Ma su questo, se vuoi, posso proseguire in un'altra mail, perché qui il discorso si fa davvero lungo.

Enrico Galavotti


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Arte
 -
Stampa pagina
Aggiornamento: 11/09/2014