LA SVOLTA DI GIOTTO
LA NASCITA BORGHESE DELL'ARTE MODERNA

DIBATTITO SU GIOTTO

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L'altro giorno m'è capitato di leggere in un quotidiano alcuni stralci dell'interrogatorio che i giudici del Sant'Uffizio fecero al Veronese riguardo alla sua "Ultima Cena". La diatriba può forse aiutarci a capire i rapporti tra artista e potere.

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Si tratta, come noto, di un dipinto a soggetto religioso, per la cui "ortodossia", rispetto ai canoni interpretativi dominanti, doveva farsi carico, in ultima istanza, la stessa istituzione ecclesiastica. Cioè il soggetto religioso non era semplicemente una donna orante o cose simili, ma niente di meno che il Cristo in occasione della sua ultima cena.

Il pittore aveva dato di questo episodio evangelico la propria, personale, interpretazione, e i giudici ecclesiastici s'erano sentiti in dovere di contestarlo.

Prescindendo ora da ciò che si dissero, mi chiedo: sul piano del metodo era giusta questa procedura? Secondo me sì. Dipingendo qualcosa che riguardava uno dei temi della fede cattolica, il pittore era automaticamente entrato in una sfera pubblica, per cui la sua opera doveva necessariamente essere sottoposta a un giudizio di merito.

Ma il Veronese non voleva essere giudicato. Non s'era neppure posto il problema di dover rispettare una qualche tradizione teologica, se non in maniera molto approssimativa. Siamo nel 1573 ed è da un pezzo che non si rispetta più la tradizione bizantina e che la tradizione cattolico-romana, quella realista-borghese inaugurata da Giotto, s'è progressivamente evoluta verso forme sempre meno legate a tradizioni consolidate.

Tant'è che lo stesso Veronese ad un certo punto si sente in diritto d'affermare, in riferimento ai nudi dipinti da Michelangelo nella Cappella Sistina, che "vi sono atteggiamenti diversi... non troppo conformi al rispetto della devozione".

Il Veronese in pratica fa questo ragionamento (ovviamente davanti ai giudici è costretto a fingere una certa ingenuità, al punto da paragonarsi "ai poeti e ai matti" che si prendono certe licenze): "se Michelangelo ha potuto non rispettare la tradizione, perché devo farlo io?". Poi, con fare furbesco, tenta di ribaltare l'accusa invocando il diritto-dovere d'essere fedele a una tradizione, quella appunto michelangiolesca: "E' un dovere per me seguire l'esempio dei miei predecessori", dice.

Ciò di cui in sostanza veniva contestato (nello stralcio riportato) erano alcune cose piuttosto evidenti: una figura che perde sangue dal naso; alcune figure armate o vestite secondo la moda tedesca; una addirittura vestita da buffone con un pappagallo in mano; altre sono ubriache, ecc.

Rendendosi conto, forse, che il Veronese poteva non avere tutti i torti quando parlava di Michelangelo (1), il giudice è costretto ad arrampicarsi sugli specchi, osservando che nel Giudizio Universale potevano anche starci i nudi, visto che si trattava di una scena fantastica, proiettata nell'aldilà.

In realtà la motivazione recondita dell'interrogatorio è ben visibile là dove il giudice si riferisce al fatto che nella Germania luterana è diventata prassi consueta dipingere delle "buffonate" per "avvilire e ridicolizzare" la chiesa romana e "insegnare falsità alle persone ingenue o ignoranti".

In sostanza Veronese veniva accusato d'eresia e di fronte a un'accusa del genere, nel clima controriformistico d'allora, c'era poco da scherzare, sicché, dopo essersi scusato d'aver agito senza riflettere sulle conseguenze del suo dipinto, egli provvide a cambiarne il titolo con uno ben più modesto: "Convito in casa Levi", ove vi furono, come noto, anche i farisei e i pubblicani.

Ora che cosa c'insegna questo processo? Secondo me due cose:

  1. che è giusto porre un limite al libero arbitrio dell'artista quando sono in gioco questioni che riguardano le convinzioni religiose di milioni di persone;
  2. che non ha senso porre dei limiti del genere quando tali convinzioni sono state violate dalla stessa istituzione che avrebbe dovuto tutelarle.

Il punctum dolens infatti è proprio questo, che la chiesa romana, a partire dalla svolta di Giotto, aveva per così istituzionalizzato la svolta verso il realismo borghese, stravolgendo tutti i canoni interpretativi consolidati da secoli di tradizione cristiana.

Da Giotto a Michelangelo si assiste praticamente al massacro della pittura religiosa, all'introduzione di un arbitrio progressivo, per lo più intellettualistico, su temi che riguardavano la fede di milioni di persone.

Veronese non faceva altro che inserirsi in questa nuova tradizione individualistica, accentuandone gli elementi irriverenti. Finché ad un certo punto la fede stessa viene superata da una concezione laica della vita, che rende inutile, perché obsoleta, la rappresentazione artistica dei temi religiosi.

Tuttavia l'artista "laico" resta un individualista, proprio perché è rimasto "borghese". E' semplicemente un borghese senza la fede. La sua arte non è ancora, secondo me, un'alternativa né a quella cattolico-romana, né a quella bizantina.

La storia dell'arte occidentale, a partire da Giotto, è la storia di un'arte che ha progressivamente cercato di estremizzare se stessa, alla ricerca spasmodica di un'identità impossibile, dopo aver rotto i ponti col mondo contadino e con l'arte bizantina che lo rappresentava.

Le eccezioni a questo tipo di arte sono appunto quelle costituite dai tentativi di avvicinarsi, sulla scia del socialismo, alle esigenze delle masse popolari.


(1) Papa Paolo IV (1555-59), a motivo dei nudi, voleva abbattere tutta la parete del Giudizio per arretrarla; papa Gregorio XIII (1572-85) non voleva neppure vederla; papa Clemente VIII (1592-1605), 50 anni dopo l'ultimazione dei lavori nella Sistina, voleva far ricoprire tutta la parete dell'affresco. Sarà la Congregazione del Concilio a salvarla optando per la soluzione dei "braghettoni". (torna su)

Enrico Galavotti


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Arte
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Aggiornamento: 11/09/2014