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Il percorso umano verso l’individuazione nel pensiero di Erich Fromm

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Orientamento produttivo
L’orientamento produttivo del carattere, di cui Fromm lamenta l’insufficiente attenzione da parte della psicoanalisi, può essere considerato analogo al ‘carattere genitale’ descritto da Freud. Esso è il carattere della persona normale, sana e matura; Freud pone come precondizione al raggiungimento di tale struttura caratteriale l’emancipazione dalle fissazioni orali ed anali della libido per giungere al conseguimento di una sessualità che funzioni sotto il primato del sesso genitale, il cui scopo è l’unione con membri del sesso opposto.
Mentre la descrizione fornita da Freud si limita appunto a considerare il carattere genitale come risultato della normale evoluzione ontogenetica della sessualità, grazie alla quale l’individuo diviene capace di funzionare sessualmente e socialmente, Fromm parla del carattere produttivo in un’accezione più ampia, intendendo con esso il carattere dell’individuo che abbia sviluppato pienamente se stesso; tale carattere costituisce per Fromm lo scopo dell’evoluzione umana e al tempo stesso l’ideale cui tende l’etica umanistica. (20)
Oltre alla produttività sessuale, comune anche agli animali, un atteggiamento produttivo nell’uomo coinvolge ogni aspetto della sua personalità, fino a caratterizzare la sua specifica modalità di relazione in ogni campo dell’esperienza umana. Fromm intende la produttività come la capacità dell’uomo di realizzare le proprie potenzialità, di far uso di ‘poteri’ rispetto ai quali l’uomo non sia alienato, ma che siano al contrario da lui percepiti come un tutt’uno con se stesso, come parte di sé.
Tuttavia, avverte Fromm, è bene non confondere la produttività con l’attività in senso lato: esistono infatti svariati tipi di attività non produttiva motivati da passioni irrazionali dell’uomo e simili solo superficialmente alla vera produttività. Tra queste vi è l’attività determinata da una reazione all’ansia, spesso alla base degli affanni dell’uomo moderno; l’attività svolta in virtù della propria sottomissione ad una autorità, esplicita od anonima che sia; lo sforzo compiuto unicamente in funzione del proprio successo, a prescindere dal benessere personale e dalla felicità che tale sforzo possa apportare a chi lo compie. Quando, come in questi casi, sono le passioni irrazionali dell’uomo a costituire la vera ragione delle sue azioni, la sua attività non sarà né libera né razionale, ma sarà necessariamente idiosincratica con lo sviluppo delle sue più nobili facoltà.
Al contrario, l’attività produttiva prescinde completamente dal successo; essa si radica nel carattere stesso dell’uomo, nel suo approccio nei confronti di se stesso e del mondo, e non necessariamente è svolta in funzione del conseguimento di un risultato pratico.
Definendo la produttività come l’uso dei propri poteri da parte dell’uomo, ossia come l’esercizio della sua ‘potenza’, costituendone invece l’impotenza il loro mancato uso, Fromm sottolinea la differenza tra ‘potere su’ e ‘potere di’. Secondo Fromm il ‘potere su’ costituisce una perversione del ‘potere di’: nella misura in cui l’uomo è impotente, ossia incapace di esercitare il proprio ‘potere di’, egli sviluppa il desiderio di dominio e di controllo sugli altri, pretendendo così di avere ‘potere su’, che a sua volta contribuisce a paralizzare la sua capacità produttiva.
La produttività è posta da Fromm in antinomia anche con due opposti atteggiamenti dell’uomo: l’insania, caratterizzata dalla perdita della capacità di percepire la realtà nella sua concretezza, tipica dello psicotico, e ciò che viene comunemente definito come ‘realismo’, ossia il percepire le cose ‘quali esse sono’, astraendo completamente dalla propria soggettività.
Mentre la persona che abbia perso ogni contatto con il mondo esterno sostituendo a questo il suo mondo soggettivo è comunemente considerata malata (21), il cosiddetto ‘realismo’, non comportando la perdita della capacità della persona di funzionare socialmente e sessualmente, non è considerato alla stregua di una malattia mentale. Ma sebbene ciò non lo squalifichi sul piano sociale, il realista ha perduto la capacità specificatamente umana di penetrare oltre la superficie delle cose cogliendone la profondità: egli può solo percepire la realtà per manipolarla in funzione dei propri fini, esercitando quindi la sua intelligenza, non la ragione, e ciò lo impoverisce come essere umano.
Secondo Fromm il ‘realismo’ non è dunque l’opposto dell’insania, ma il suo complemento: questi due atteggiamenti apparentemente contrapposti non sono altro che due diverse forme che può assumere l’attitudine verso se stesso ed il mondo di un individuo che abbia paralizzato la propria produttività.
La persona produttiva è in grado di relazionarsi al mondo cogliendone tanto l’aspetto oggettivo che percependolo in funzione della propria soggettività; non si relaziona al mondo semplicemente per manipolarlo, né si rifugia completamente nella propria dimensione interiore, perdendo con esso ogni contatto.
Queste due capacità costituiscono poli opposti dalla cui interazione dinamica sorge la produttività, che non ne è semplicemente la somma, ma un qualcosa di diverso che scaturisce dalla loro unione.
La produttività dell’uomo può generare nuovi sistemi di pensiero, creare opere d’arte o costruire cose materiali, ma risulta ben chiaro nell’opera di Fromm che l’oggetto più importante della produttività umana è l’uomo stesso.
Tramite l’attività produttiva l’uomo dà vita alle proprie potenzialità razionali ed emotive, e nel fare ciò egli rinasce incessantemente. Dramma della sua condizione è che nella limitatezza temporale della sua esistenza possano dispiegarsi soltanto una parte di queste facoltà.
Dice Fromm, che l’uomo muore quando non è più in grado di continuare a nascere; e la tragedia sta proprio nel fatto che i più muoiano prima di essere completamente nati.
Nell’orientamento produttivo le qualità umane si sviluppano nel processo stesso di essere in relazione con il mondo; la produttività costituisce per Fromm la risposta al paradosso umano di ricercare simultaneamente l’unione con i propri simili ed al tempo stesso sentire l’esigenza di preservare la propria integrità.
Attraverso l’amore e la ragione l’uomo è capace di comprendere il mondo mentalmente ed emotivamente. Amore e ragione, espressione rispettivamente delle capacità umane dell’emozione e del pensiero, consentono all’uomo di comprendere gli altri, di penetrare oltre la superficie degli oggetti e dei fenomeni e di porsi in relazione attiva con il mondo.
L’amore genuino, ciò che Fromm chiama ‘amore produttivo’, si radica nella conoscenza dell’oggetto amato, nel suo rispetto, nella responsabilità della sua presenza e nella sollecitudine verso di esso.
L’amore privo di responsabilità e sollecitudine rimane una passione dalla quale si è sopraffatti, mentre la mancanza di rispetto e di curiosità per il suo oggetto fa sì che degeneri in dominio e possessività. Il rispetto comporta la capacità di vedere la persona ‘quale essa è’, ed implica la sua conoscenza in quanto persona unica ed irripetibile. Sollecitudine e responsabilità implicano la preoccupazione per la vita della persona amata e per la sua crescita e lo sviluppo delle sue qualità umane.
Analogamente, il ‘pensiero produttivo’ non è mai distaccato ed indifferente rispetto al suo oggetto, ma comporta un profondo interesse verso di esso.
Mentre l’intelligenza è lo strumento di cui si è dotati per manipolare il mondo e piegarlo alle proprie finalità pratiche, la ragione coinvolge la dimensione della profondità di oggetti e fenomeni, e permette di penetrare nell’essenza di essi, scoprirne le relazioni nascoste e il loro reale significato.
Ma l’essenza delle cose non è da considerarsi un qualcosa che stia al di là di esse, ma ne costituisce invece l’essenziale, i loro tratti più pervasivi e generali, prescindendo dagli aspetti superficiali e accidentali, logicamente irrilevanti.
Nel pensiero produttivo, più intima è la relazione con l’oggetto, più il pensiero ne risulta fruttuoso, essendo questo stimolato proprio dalla profondità di tale relazione. L’oggetto del pensiero produttivo è tale proprio in quanto sentito da parte dell’osservatore come rilevante per la propria vita individuale o per la stessa esistenza umana.
Ciononostante caratteristica peculiare del pensiero produttivo è l’obiettività, della quale Fromm ha una concezione particolare dal momento che, a suo avviso, la contraddizione tra questa e la soggettività è solo apparente: è infatti proprio rispettando l’oggetto, ossia vedendolo nella sua vera essenza e non come si vorrebbe che esso fosse o come ci è stato detto che debba essere, che è possibile coglierlo nella sua singolarità e scoprirne l’interconnessione con altri oggetti.
Altro aspetto basilare del pensiero produttivo è quello di cogliere la totalità di un fenomeno: isolando un aspetto specifico di un oggetto sarà impossibile infatti far luce non soltanto su di esso nella sua interezza, ma anche su quel singolo elemento che si è inteso studiare.
Tale atteggiamento nei confronti dell’oggetto è da estendersi anche nei confronti di se stessi: è infatti indispensabile essere consapevoli di se stessi e della condizione in cui ci si trova nel relazionarsi all’oggetto osservato.
Parlando del pensiero produttivo Fromm coglie l’occasione per criticare una falsa idea di obiettività scientifica, alla cui base starebbero il distacco e il disinteresse per i fenomeni studiati. Ogni pensiero, secondo Fromm, se privo di interesse per i suoi oggetti, diviene sterile e quindi inutile: l’obiettività, anche in campo scientifico, non deve dunque intendersi come distacco, ma come rispetto per gli oggetti di cui va colta l’essenza senza farsi condizionare da pregiudizi su di essi, come capacità di non distorcere i fenomeni osservati. Ogni esperimento scientifico condotto sulla base di un simile concetto di scientificità, in realtà, secondo Fromm, non dimostra assolutamente niente, o comunque si dimostrano eventi dei quali non si capisce la ragione del perché debbano essere dimostrati.
Il pensiero produttivo, caratterizzato dall’interesse e dalla sollecitudine per i suoi oggetti, e al tempo stesso dal rispetto verso di essi, è dunque tutt’altro che incompatibile con il perseguimento della verità.
Benché Fromm descriva i diversi orientamenti come entità separate, egli precisa che la struttura caratteriale di un individuo non è mai costituita esclusivamente da uno di questi, ma è piuttosto il risultato di una mescolanza tra orientamenti diversi.
Alcuni di essi, come quello ricettivo ed appropriativo, si mescolano più frequentemente, ma è possibile che il carattere di un individuo risulti composto anche da elementi caratteriali di orientamenti tra loro meno affini o caratterizzati da un diverso tipo di socializzazione. Ad ogni modo in ogni individuo uno di questi orientamenti risulta predominante.
Oltre alla mescolanza di orientamenti non produttivi tra di loro incide sulla struttura caratteriale pure l’orientamento produttivo, in una certa misura sempre presente, ed il cui maggior o minor peso determina la qualità dell’orientamento predominante. Qualora esso prevalga, i diversi tratti degli orientamenti non produttivi presenti non assumono necessariamente il significato negativo precedentemente esposto, ma manifestano invece proprietà costruttive.
Gli orientamenti non produttivi possono infatti considerarsi come una perversione di elementi caratteriali che normalmente fanno parte della natura umana. Soltanto qualora l’assimilazione di ciò di cui si ha bisogno e la modalità tipica di relazione siano essenzialmente non produttive, l’accettare, il prendere, il conservare e lo scambiare, si manifesteranno rispettivamente come sottomissione, dominio, recessione o distruttività e superficialità.
Ciascun elemento negativo di ogni orientamento non produttivo ha un suo corrispondente positivo, che si manifesta in funzione del grado di produttività presente nella struttura caratteriale totale. L’insieme degli elementi positivi o negativi di ciascun orientamento non costituiscono sindromi separate; gli elementi corrispondenti sono piuttosto da considerarsi come punti opposti di un continuum: l’atteggiamento fiducioso del ricettivo può assumere i tratti dell’ingenua credulità; la fiducia in se stesso dell’appropriativo può volgersi in arroganza; la metodicità del tesaurizzante può divenire ossessiva; la tolleranza del mercantile può sfociare nell’indifferenza.
Considerando dunque la differenza qualitativa di tali orientamenti in funzione del grado di produttività presente, ed il fatto che i vari orientamenti non produttivi possono avere un peso diverso nella struttura caratteriale totale della persona ed operare con energia diversa in diverse sfere di attività (materiale, intellettuale, emotiva), appare dunque chiaro come, combinandosi con i diversi temperamenti e doti innate degli individui, gli elementi di tali orientamenti possano determinare innumerevoli variazioni nella personalità: ogni persona, pur essendo partecipe della stessa natura umana e quindi soggetta agli stessi processi che coinvolgono i suoi simili, costituisce dunque un fenomeno unico ed irripetibile.

(20) Vedi il paragrafo “L’etica umanistica”.
(21) Questa idea è espressa anche da Laing, ad esempio in “The Divided Self ”, Tavistock Publications Limited, London (1959), trad. it. L’Io diviso”, Einaudi, Torino (1977, 8a ed.).

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Andrea Ciacci - Tesi di Laurea in Psicologia - Anno Accademico 2003/2004
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Ultimo aggiornamento: 04-dic-2004.