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Potenzialità primarie e secondarie
Strettamente connesso al problema di definire in cosa consista la natura
umana, è quello della diatriba tra i sostenitori di una innata bontà, o
malvagità, dell’uomo.
Freud, al pari di altri istintivisti come Konrad Lorenz, considera l’uomo un
essere fondamentalmente malvagio e antisociale, che solo l’influsso positivo
della società può addomesticare, reprimendo quegli impulsi perversi intrinseci
nella sua natura.
In “Anatomia della distruttività umana” Fromm analizza approfonditamente la
questione della pretesa malvagità innata dell’uomo, ed apportando prove
antropologiche, biologiche e sociopsicologiche basate prevalentemente sullo
studio di società primitive, giunge a rifiutare questa tesi, mettendo in
evidenza come in certi gruppi sociali ‘semplici’, non civilizzati nel senso
comune del termine, l’aggressività sia, o sia stata, al contrario di quanto si è
sostenuto, ben limitata, e laddove questa si manifestasse ciò avveniva come
reazione a condizioni ambientali o a un imprinting culturale atto a favorire
tale tendenza.
Fromm giunge quindi a supporre che l’aggressività non possa considerarsi un
tratto innato della natura umana, e che, quando non sia al servizio della
sopravvivenza, essa si sviluppi come reazione a circostanze sociali.
Per comprendere l’importanza di questa sua concezione è necessario accennare
a come di questa idea, centrale nel pensiero di Fromm, sia intrisa anche la sua
concezione di inconscio e di nevrosi. Fromm non considera, come il padre della
psicoanalisi, il problema fondamentale delle nevrosi come incentrato sul
conflitto tra un Io razionale ed un inconscio irrazionale, bensì nell’esistenza
di due generi di passioni, razionali e irrazionali, tra di loro in conflitto.
Entrambi i generi di passioni, tuttavia, non possono considerarsi innate
nella natura umana (ed in ciò sta anche la differenza tra il concetto freudiano
di istinto e quello frommiano di passione, che lo travalica) ma si manifestano
come estrinsecazione di tendenze, queste sì, innate: quelle al servizio della
vita, orientate verso lo sviluppo, e quelle regressive; tali tendenze stanno
appunto alla base dei rispettivi tipi di passione, razionali e irrazionali. Tali
tendenze, tuttavia, non ricoprono lo stesso status nella genesi del carattere
dell’individuo, sussistendo piuttosto tra di esse una gerarchia: mentre anche
nell’ultimo Freud, nella sua concettualizzazione di Eros e istinto di morte (6), le
due opposte tendenze hanno una genesi omologa e si estrinsecano nella stessa
misura nell’individuo, nel pensiero di Fromm le passioni irrazionali non
costituiscono l’espressione di una tendenza alla malvagità ed alla
(auto)distruzione che debba comunque trovare uno sfogo; esse si originano
piuttosto come conseguenza della frustrazione di quelle tendenze vitali che
stanno alla base dello sviluppo di passioni progressive.
Così, mentre le passioni razionali costituiscono l’esplicazione di una
potenzialità primaria della natura umana, le passioni irrazionali, aventi
origine dalla frustrazione della capacità ed aspirazione dell’uomo a sviluppare
ed a far uso delle proprie capacità, costituiscono una potenzialità secondaria
della sua natura.
Naturalmente, anche qui, come altrove, il ruolo attribuito da Fromm alla
società in generale ed alla sua struttura socioeconomica in particolare è assai
rilevante. Vi sono condizioni sociali che rendono possibile il naturale
manifestarsi delle tendenze positive, e quindi lo sviluppo delle passioni
razionali, così come possono sussistere condizioni sociali che, impossibilitando
l’espressione di tali tendenze da parte dell’individuo, sono causa abbastanza
preponderante dello sviluppo di quelle passioni maligne che Fromm ritiene stiano
alla base delle nevrosi più gravi.
(6) S. Freud, “Jenseit des Lustprinzips” (1920); trad. it. “Al di là del
principio di piacere”, Boringhieri, Torino, 1975.
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