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Il percorso umano verso l’individuazione nel pensiero di Erich Fromm

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Potenzialità primarie e secondarie
Strettamente connesso al problema di definire in cosa consista la natura umana, è quello della diatriba tra i sostenitori di una innata bontà, o malvagità, dell’uomo.
Freud, al pari di altri istintivisti come Konrad Lorenz, considera l’uomo un essere fondamentalmente malvagio e antisociale, che solo l’influsso positivo della società può addomesticare, reprimendo quegli impulsi perversi intrinseci nella sua natura.
In “Anatomia della distruttività umana” Fromm analizza approfonditamente la questione della pretesa malvagità innata dell’uomo, ed apportando prove antropologiche, biologiche e sociopsicologiche basate prevalentemente sullo studio di società primitive, giunge a rifiutare questa tesi, mettendo in evidenza come in certi gruppi sociali ‘semplici’, non civilizzati nel senso comune del termine, l’aggressività sia, o sia stata, al contrario di quanto si è sostenuto, ben limitata, e laddove questa si manifestasse ciò avveniva come reazione a condizioni ambientali o a un imprinting culturale atto a favorire tale tendenza.
Fromm giunge quindi a supporre che l’aggressività non possa considerarsi un tratto innato della natura umana, e che, quando non sia al servizio della sopravvivenza, essa si sviluppi come reazione a circostanze sociali.
Per comprendere l’importanza di questa sua concezione è necessario accennare a come di questa idea, centrale nel pensiero di Fromm, sia intrisa anche la sua concezione di inconscio e di nevrosi. Fromm non considera, come il padre della psicoanalisi, il problema fondamentale delle nevrosi come incentrato sul conflitto tra un Io razionale ed un inconscio irrazionale, bensì nell’esistenza di due generi di passioni, razionali e irrazionali, tra di loro in conflitto.
Entrambi i generi di passioni, tuttavia, non possono considerarsi innate nella natura umana (ed in ciò sta anche la differenza tra il concetto freudiano di istinto e quello frommiano di passione, che lo travalica) ma si manifestano come estrinsecazione di tendenze, queste sì, innate: quelle al servizio della vita, orientate verso lo sviluppo, e quelle regressive; tali tendenze stanno appunto alla base dei rispettivi tipi di passione, razionali e irrazionali. Tali tendenze, tuttavia, non ricoprono lo stesso status nella genesi del carattere dell’individuo, sussistendo piuttosto tra di esse una gerarchia: mentre anche nell’ultimo Freud, nella sua concettualizzazione di Eros e istinto di morte (6), le due opposte tendenze hanno una genesi omologa e si estrinsecano nella stessa misura nell’individuo, nel pensiero di Fromm le passioni irrazionali non costituiscono l’espressione di una tendenza alla malvagità ed alla (auto)distruzione che debba comunque trovare uno sfogo; esse si originano piuttosto come conseguenza della frustrazione di quelle tendenze vitali che stanno alla base dello sviluppo di passioni progressive.
Così, mentre le passioni razionali costituiscono l’esplicazione di una potenzialità primaria della natura umana, le passioni irrazionali, aventi origine dalla frustrazione della capacità ed aspirazione dell’uomo a sviluppare ed a far uso delle proprie capacità, costituiscono una potenzialità secondaria della sua natura.
Naturalmente, anche qui, come altrove, il ruolo attribuito da Fromm alla società in generale ed alla sua struttura socioeconomica in particolare è assai rilevante. Vi sono condizioni sociali che rendono possibile il naturale manifestarsi delle tendenze positive, e quindi lo sviluppo delle passioni razionali, così come possono sussistere condizioni sociali che, impossibilitando l’espressione di tali tendenze da parte dell’individuo, sono causa abbastanza preponderante dello sviluppo di quelle passioni maligne che Fromm ritiene stiano alla base delle nevrosi più gravi.

(6) S. Freud, “Jenseit des Lustprinzips” (1920); trad. it. “Al di là del principio di piacere”, Boringhieri, Torino, 1975.

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Andrea Ciacci - Tesi di Laurea in Psicologia - Anno Accademico 2003/2004
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Ultimo aggiornamento: 04-dic-2004.