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Il percorso umano verso l’individuazione nel pensiero di Erich Fromm

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Il paradosso dell’esistenza umana e le dicotomie storiche
Fromm propone che il problema di definire in cosa consista l’essenza della natura umana possa risolversi considerandola non tanto come una sostanza, o un attributo specifico dell’uomo, quanto come una contraddizione inerente la sua stessa esistenza. L’uomo è parte della natura e quindi soggetto alle sue leggi al pari di ogni altra specie animale, ma al tempo stesso la trascende: con la comparsa dell’uomo la vita diviene per la prima volta consapevole di se stessa.
Rispetto agli altri animali, l’apparato istintuale umano risulta ben poco adeguato a dare soddisfazione ai suoi bisogni di autoconservazione, ma in questa debolezza biologica dell’uomo risiede pure la sua potenza: egli è costretto, per far fronte alle proprie necessità, a far uso delle proprie facoltà razionali. Ribadendo una relazione già individuata da Bergson (4), Fromm ritiene che la relativa assenza di una regolazione istintiva nell’uomo sia anche la fonte dello sviluppo delle sue facoltà razionali, e che il peso di tale attrezzatura istintiva nell’adattamento al mondo sia inversamente proporzionale a quello di tali facoltà: mentre l’animale si adatta alle mutevoli condizioni ambientali autoplasticamente, cioè cambiando se stesso, l’uomo è capace di adattarsi alloplasticamente, esercitando cioè una propria influenza sull’ambiente circostante e modificandolo.
L’incapacità umana di adattarsi alla natura e vivere in armonia con essa grazie al proprio orientamento istintuale è dunque ciò che ha reso l’uomo autocosciente, capace di immaginazione e di razionalità. Ma proprio tali qualità a lui peculiari sono alla base del paradosso dell’esistenza umana: pur essendo parte della natura, pur nascendo in uno spazio e in un tempo che egli non ha scelto, l’uomo si differenzia da quant’altro della natura faccia parte.
Egli è l’unica creatura per la quale la sua stessa esistenza costituisca un problema. La contraddizione inerente la condizione umana è fonte di ansia e insicurezza, e richiede pertanto una soluzione: l’uomo versa in una condizione di costante squilibrio dovuto al fatto di aver perso l’originaria armonia con la natura, ma non può tornare a tale stadio preumano di armonia; egli deve piuttosto proseguire sulla strada del proprio sviluppo fino a che non si sia reso completamente umano ed abbia raggiunto un’armonia di un nuovo e più elevato livello, un’armonia che sia tale non sulla base dei suoi vincoli naturali e del suo essere indifferenziato, ma proprio della sua indipendenza ed umanità che gli permettano di sperimentare un nuovo senso di unione.
Questa frattura nella natura dell’uomo costituisce il paradosso della sua esistenza e comporta una serie di dicotomie definite da Fromm dicotomie esistenziali. Tale definizione è giustificata dal fatto che esse sono appunto inerenti alla stessa condizione umana: l’uomo non può dunque annullarle, ma solo reagire di fronte ad esse in modi diversi, a seconda della propria cultura e del proprio carattere.
Una dicotomia esistenziale fondamentale è quella tra la vita e la morte: la consapevolezza della propria morte influenza notevolmente la vita dell’uomo, eppure la morte resta quanto di più incompatibile vi sia con l’esperienza del vivere. La coscienza della propria mortalità conduce l’uomo ad affrontare un’altra dicotomia esistenziale: quella fra ciò che egli è in potenza, fra le sue potenzialità, e l’impossibilità della loro completa realizzazione nel tempo limitato della propria esistenza.
A queste dicotomie esistenziali Fromm contrappone quelle che invece definisce dicotomie storiche: esse sono costituite da contraddizioni sociali aventi carattere contingente nella vita sociale e individuale, e pertanto artificiose e risolvibili, se non nell’epoca in cui si manifestano, in un periodo storico ad essa successivo.
Nel corso della storia i pensatori reazionari e quant’altri abbiano avuto interesse a mantenere lo status quo del sistema sociale e culturale, hanno spesso mirato a far passare per dicotomie esistenziali, e quindi inestinguibili, queste dicotomie socialmente condizionate.
Ma ciò non basterebbe a frenare l’innata tendenza umana a reagire di fronte ad ogni contraddizione della quale si sia consapevoli, se non si negasse l’esistenza stessa di tali contraddizioni. A tale scopo servono le ideologie, razionalizzazioni socialmente utili e schematizzate che, come le razionalizzazioni a livello individuale, servono a placare l'inquietudine generata dalla consapevolezza della contraddizione e ad armonizzare la vita sociale ed individuale, ed accettate in quanto condivise dalla maggior parte degli individui o sostenute dall’autorità. (5)
Ma mentre tali ideologie non fanno altro che nascondere o armonizzare contraddizioni storiche, e quindi solubili, le dicotomie esistenziali non possono essere risolte, e di fronte ad esse si può solo rispondere accettando la responsabilità di se stessi e sviluppandosi come esseri umani.

(4) Vedi H. Bergson, “L’évolution créatrice” (1907); trad. it. “L’evoluzione creatrice”, Raffaello Cortina, Milano, 2002.
(5) Ritengo che il concetto di ‘ideologia’ sia stato inteso in un modo per certi versi simile anche nell’ambito della sociologia marxista e strutturalista. Antonio Gramsci, ad esempio, spiega come lo stato borghese non mantenga il proprio status quo semplicemente con la repressione, ma prevalentemente per mezzo di una sovrastruttura, costituita appunto dalle ideologie dominanti in un dato intorno sociale che, una volta accettate, spingono gli individui soggiogati a credere che chi esercita il potere sia in tale posizione in virtù della sua maggior appropriatezza ad investire tale ruolo, e che il potere venga esercitato nell’interesse di tutti, per cui anche chi a tale potere è sottomesso si aspetta di ricavarne dei vantaggi personali. Althusser vede invece l’ideologia come una caratteristica obiettiva dell’ordine sociale che, agendo come ‘sistema di rappresentazione’, struttura la stessa esperienza: accettando le pratiche sociali che essa propone gli individui acquisiscono un senso di identità sociale ed al tempo stesso accettano il ruolo ad essi attribuito all’interno del sistema di produzione, senza interrogarsi circa le contraddizioni inerenti la struttura socioeconomica della società.

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Andrea Ciacci - Tesi di Laurea in Psicologia - Anno Accademico 2003/2004
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Ultimo aggiornamento: 04-dic-2004.