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L’etica umanistica
La concezione di un’etica umanistica deriva in Fromm dalla filosofia di
Aristotele, di Spinoza e di Dewey, pensatori accomunati dalla concezione che la
conoscenza dell’uomo sia la base per fissare norme e valori.
Per Aristotele l’etica si fonda sulla natura dell’uomo: essa è psicologia
applicata, in quanto compito della psicologia è investigare tale natura. Per
Aristotele l’essenza della virtù sta nell’attività, ossia nell’esercizio delle
proprie capacità da parte dell’uomo. La persona buona, virtuosa, è colei che
esercita tale facoltà, rendendosi così libera e razionale, attiva e, proprio in
conseguenza di ciò, felice.
Spinoza osserva che l’uomo, come ogni altra cosa in natura, ha la finalità
suprema di esistere e di preservare la propria esistenza. La virtù sta nel
perseguimento di tale finalità, e consiste nel diventare ciò che si è
potenzialmente, ossia nel raggiungere quella condizione nella quale si è
completamente umani. Per attingere tale virtù è necessario far uso della propria
potenza, ossia adoperare attivamente i propri poteri; ciò comporta un incremento
di tale potenza, che si accompagna all’esperienza della felicità, mentre il
vizio, ossia il mancato esercizio delle proprie facoltà, conduce alla
depressione.
Il valore etico di ogni azione può dunque determinarsi solo in funzione
della libertà e della felicità umane, non potendo mai l’uomo costituire un mezzo
per un’autorità posta al di sopra di lui.
Anche per Dewey lo scopo dell’esistenza umana è lo sviluppo dell’uomo nei
termini della sua stessa natura; egli asserisce che è grazie alla ragione umana
che si può giungere a formulare giudizi di valore oggettivamente validi, benché
nella sua analisi del rapporto tra mezzi e fini egli giunga infine a rifiutare
un ‘modello di natura umana’ come concezione scientifica.
Ad ogni modo, nella concezione di ognuno di questi tre pensatori, cui Fromm
fa riferimento, le norme etiche sono stabilite dall’uomo secondo un criterio
oggettivo, ossia sulla base dello studio e della conoscenza della propria
natura.
In ogni attività costruttiva, osserva Fromm, vi è un sistema di norme
oggettivamente valide che ne costituisce la base: norme e principi dell’etica
umanistica possono essere considerati come la base di quella attività
costruttiva che ha per oggetto la stessa esistenza umana. I suoi principi
generali sono obiettivi proprio in quanto connessi alla stessa natura e alla
vita dell’uomo.
Come si è visto parlando del processo di individuazione, l’esistenza umana,
o meglio, il vero scopo dell’esistenza umana, consiste nel dispiegarsi delle
potenze specifiche di un organismo, sulla base della tendenza in esso intrinseca
che lo spinge ad attuare tali potenzialità. L’etica umanistica è costantemente
riferita a tale processo, ed i suoi giudizi di valore sono formulati in funzione
di esso: come Fromm afferma, nell’etica umanistica il bene è ciò che è bene per
l’uomo, il vizio ciò che lo danneggia, l’irresponsabilità verso se stessi e la
paralisi delle proprie potenzialità.
Riguardo ai rapporti tra etica e psicoanalisi Fromm considera lo sviluppo
della prima come ampiamente condizionato dall’evoluzione della seconda. In primo
luogo egli considera che la teoria psicoanalitica è stata la prima teoria
psicologica ad investigare l’uomo non nei suoi aspetti isolati, bensì nella sua
totalità, e nell’affermare ciò egli riconosce a Freud il merito di un metodo che
rende possibile lo studio della personalità globale dell’uomo e la comprensione
dei moventi del suo agire.
Tale metodo ha reso possibile, attraverso l’analisi dei sogni, delle libere
associazioni, dei lapsus e del transfert, l’accesso a fenomeni prima relegati
nel profondo del soggetto e raramente accessibili anche per via introspettiva.
Partendo dall’analisi dei sintomi nevrotici, Freud si rese presto conto che
essi potevano essere adeguatamente compresi solo in riferimento alla struttura
caratteriale dell’individuo nel quale questi si manifestavano, rilanciando così
lo studio della scienza del carattere, trascurata dagli psicologi dell’epoca.
Fromm considera tale contributo di estrema importanza, ritenendo la
caratterologia indispensabile allo sviluppo di una teoria etica: ogni vizio o
virtù umana acquista un significato solo in riferimento alla struttura
caratteriale della persona di cui tale vizio o virtù è il predicato. Fromm
sostiene che soltanto in riferimento al carattere è possibile formulare dei
giudizi di valore circa singoli elementi od azioni: oggetto dell’investigazione
etica è dunque per Fromm il carattere, vizioso o virtuoso, e non singoli vizi o
virtù isolate.
L’evoluzione del pensiero etico che Freud e la psicoanalisi resero possibile
è dovuta al fatto che la scoperta delle motivazioni inconsce rendeva possibile
la formulazione di giudizi di valore in riferimento non tanto agli atti stessi,
bensì alle motivazioni, spesso incoscienti, ad essi sottese; in ciò Freud ha
contribuito a disilludere, al pari di altri pensatori come Marx e Nietzsche, il
compiacente ottimismo del positivismo ottocentesco, e dopo di lui non è stato
più sufficiente affermare di agire secondo coscienza per essere ritenuti
virtuosi, poiché è proprio alla nostra stessa coscienza che spesso risultano
oscuri i veri moventi del nostro agire.
Ciò nonostante il relativismo di Freud lo portò ad affermare, osserva Fromm,
che, benché la sua psicologia potesse aiutarci a comprendere le motivazioni dei
giudizi di valore, ben poco potesse invece dirci sulla validità di tali giudizi.
(28)
Nella teoria del Super-Io, la coscienza si identifica con una autorità
interiorizzata, e qualsiasi proibizione o prescrizione può divenirne un
contenuto. La concezione freudiana della coscienza sembra così descrivere
adeguatamente quella che Fromm definisce ‘coscienza autoritaria’, ma è assai
lontana dalla sua concezione di ‘coscienza umanistica’.
Mentre quest’ultima sta alla base di un’etica umanistica i cui principi sono
quelli che ho sopra illustrato, la coscienza autoritaria è il prodotto di
un’etica autoritaria, nella quale è appunto l’autorità che proclama leggi e
regole di condotta, assimilati dall’individuo che vi si adatti dinamicamente a
prescindere dalla loro legittimità.
La distinzione tra i due tipi di etica potrebbe dunque ricondurre alle
considerazioni fatte a proposito della libertà umana: mentre l’etica umanistica
è creata dall’uomo, che stabilisce autonomamente le proprie norme in funzione
dei valori supremi della vita e della felicità umane, nell’etica autoritaria
l’uomo si trova ad essere determinato, dovendo sottostare ad un insieme di
precetti che egli considera legittimi semplicemente per il fatto che a
promulgarli è un’autorità riconosciuta.
L’accettazione di una tale autorità e dell’etica che questa comporta risulta
deleteria per il suo sviluppo, ed arrestando il suo cammino verso la libertà
risulta favorire quelle potenzialità secondarie alla natura umana che, come si è
visto, sono costituite dalle passioni maligne, che determinano l’uomo
spingendolo verso soluzioni inadeguate e distruttive al problema della propria
esistenza. (29)
Parallela alla distinzione tra etica umanistica ed etica autoritaria è
quella tra autorità razionale e autorità irrazionale. L’autorità razionale
deriva sempre dalla competenza: essa non è condizionata, come l’autorità
irrazionale, dal timore reverenziale verso chi la possiede, ma dalla sua
capacità in un ambito specifico, ed è sempre criticabile e revocabile da parte
di coloro nei confronti dei quali viene esercitata. Autorità e soggetto si
differenziano in tal caso esclusivamente sulla base della maggior o minor
conoscenza in un campo particolare.
L’autorità irrazionale deriva invece da un potere imposto e si fonda sul
timore irrazionale o coercitivo nei confronti di esso: essa si basa sulla
diseguaglianza, sulla pretesa naturale superiorità di chi possiede il potere
rispetto a chi vi è soggetto, ed ogni critica verso di essa è pertanto
interdetta e passibile di punizione.
Secondo un criterio formale l’etica autoritaria si distingue da quella
umanistica in quanto nega la possibilità dell’uomo di discernere il bene dal
male: norme e leggi sono dunque considerate come necessarie e legittime in
quanto promulgate da un’entità che trascende l’individuo, da una fonte superiore
cui l’uomo si sottomette.
Secondo un criterio materiale, ossia nel contenuto, essa stabilisce i propri
giudizi di valore in funzione degli interessi dell’autorità e non, come l’etica
umanistica, in funzione dei bisogni e della felicità degli individui. A
prescindere dal fatto che la maniera in cui essa è esercitata dipende comunque
da chi riveste una posizione di potere, e nonostante che talvolta anche chi ad
essa è soggetto possa trarne dei benefici, l’autorità irrazionale è per sua
natura un’autorità sfruttatrice. In essa la sottomissione al potere è la maggior
virtù e la disobbedienza il peccato più grande.
La ribellione, il mettere in questione il naturale diritto dell’autorità a
mantenersi tale ed il fatto che essa operi nell’interesse di tutti, è il più
grande attacco che si possa muovere contro di essa.
Al contrario, l’etica umanistica si fonda, formalmente, sul principio
secondo il quale solo l’individuo può stabilire in cosa consistano vizio e virtù
e, materialmente, sul considerare unico criterio di tale giudizio il benessere
umano.
Come si è visto, di una tale etica è intriso tutto il pensiero di Fromm:
egli, come si è più volte affermato, considera le differenze tra le strutture
caratteriali, tra i diversi sistemi di pensiero e tra i tipi di struttura
socioeconomica, come differenze qualitative in virtù del loro ostacolare o
favorire il completo sviluppo di se stessi da parte del maggior numero di
individui, cioè a dire, la progressiva umanizzazione dell’umanità.
(28) Fromm nota come il relativismo di Freud sembri però scomparire riguardo ad
altre sue concezioni nelle quali egli manifesta apertamente la sua appassionata
fede nella verità. Pur rifiutando la teoria della libido come genesi degli
orientamenti del carattere, Fromm riconosce che anche la caratterologia di Freud
implica un giudizio etico obiettivamente valido: è per egli evidente che il
‘carattere genitale’, proprio dell’individuo maturo, sia considerato da Freud
come eticamente superiore rispetto a quei caratteri il cui sviluppo nevrotico è
causato dalla fissazione o regressione della libido alle rispettive zone erogene.
Anche Freud sembra dunque possedere una concezione non relativistica di virtù,
che in ultima analisi si identifica con la sua idea di salute.
(29) Nella psicologia di Freud l’esigenza dell’accettazione di un’etica che
presenta preponderanti caratteristiche autoritarie è conseguenza, secondo Fromm,
della sua concezione circa l’innata malvagità dell’uomo: considerando impulsi
perversi, incestuosi ed omicidi come parte integrante della natura umana, appare
certo accettabile, osserva Fromm, concepire come legittimi tabù e sistemi morali
volti a proteggere la società e l’individuo stesso dall’espressione di tali
impulsi.
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