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Il percorso umano verso l’individuazione nel pensiero di Erich Fromm

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L’etica umanistica
La concezione di un’etica umanistica deriva in Fromm dalla filosofia di Aristotele, di Spinoza e di Dewey, pensatori accomunati dalla concezione che la conoscenza dell’uomo sia la base per fissare norme e valori.
Per Aristotele l’etica si fonda sulla natura dell’uomo: essa è psicologia applicata, in quanto compito della psicologia è investigare tale natura. Per Aristotele l’essenza della virtù sta nell’attività, ossia nell’esercizio delle proprie capacità da parte dell’uomo. La persona buona, virtuosa, è colei che esercita tale facoltà, rendendosi così libera e razionale, attiva e, proprio in conseguenza di ciò, felice.
Spinoza osserva che l’uomo, come ogni altra cosa in natura, ha la finalità suprema di esistere e di preservare la propria esistenza. La virtù sta nel perseguimento di tale finalità, e consiste nel diventare ciò che si è potenzialmente, ossia nel raggiungere quella condizione nella quale si è completamente umani. Per attingere tale virtù è necessario far uso della propria potenza, ossia adoperare attivamente i propri poteri; ciò comporta un incremento di tale potenza, che si accompagna all’esperienza della felicità, mentre il vizio, ossia il mancato esercizio delle proprie facoltà, conduce alla depressione.
Il valore etico di ogni azione può dunque determinarsi solo in funzione della libertà e della felicità umane, non potendo mai l’uomo costituire un mezzo per un’autorità posta al di sopra di lui.
Anche per Dewey lo scopo dell’esistenza umana è lo sviluppo dell’uomo nei termini della sua stessa natura; egli asserisce che è grazie alla ragione umana che si può giungere a formulare giudizi di valore oggettivamente validi, benché nella sua analisi del rapporto tra mezzi e fini egli giunga infine a rifiutare un ‘modello di natura umana’ come concezione scientifica.
Ad ogni modo, nella concezione di ognuno di questi tre pensatori, cui Fromm fa riferimento, le norme etiche sono stabilite dall’uomo secondo un criterio oggettivo, ossia sulla base dello studio e della conoscenza della propria natura.
In ogni attività costruttiva, osserva Fromm, vi è un sistema di norme oggettivamente valide che ne costituisce la base: norme e principi dell’etica umanistica possono essere considerati come la base di quella attività costruttiva che ha per oggetto la stessa esistenza umana. I suoi principi generali sono obiettivi proprio in quanto connessi alla stessa natura e alla vita dell’uomo.
Come si è visto parlando del processo di individuazione, l’esistenza umana, o meglio, il vero scopo dell’esistenza umana, consiste nel dispiegarsi delle potenze specifiche di un organismo, sulla base della tendenza in esso intrinseca che lo spinge ad attuare tali potenzialità. L’etica umanistica è costantemente riferita a tale processo, ed i suoi giudizi di valore sono formulati in funzione di esso: come Fromm afferma, nell’etica umanistica il bene è ciò che è bene per l’uomo, il vizio ciò che lo danneggia, l’irresponsabilità verso se stessi e la paralisi delle proprie potenzialità.
Riguardo ai rapporti tra etica e psicoanalisi Fromm considera lo sviluppo della prima come ampiamente condizionato dall’evoluzione della seconda. In primo luogo egli considera che la teoria psicoanalitica è stata la prima teoria psicologica ad investigare l’uomo non nei suoi aspetti isolati, bensì nella sua totalità, e nell’affermare ciò egli riconosce a Freud il merito di un metodo che rende possibile lo studio della personalità globale dell’uomo e la comprensione dei moventi del suo agire.
Tale metodo ha reso possibile, attraverso l’analisi dei sogni, delle libere associazioni, dei lapsus e del transfert, l’accesso a fenomeni prima relegati nel profondo del soggetto e raramente accessibili anche per via introspettiva.
Partendo dall’analisi dei sintomi nevrotici, Freud si rese presto conto che essi potevano essere adeguatamente compresi solo in riferimento alla struttura caratteriale dell’individuo nel quale questi si manifestavano, rilanciando così lo studio della scienza del carattere, trascurata dagli psicologi dell’epoca.
Fromm considera tale contributo di estrema importanza, ritenendo la caratterologia indispensabile allo sviluppo di una teoria etica: ogni vizio o virtù umana acquista un significato solo in riferimento alla struttura caratteriale della persona di cui tale vizio o virtù è il predicato. Fromm sostiene che soltanto in riferimento al carattere è possibile formulare dei giudizi di valore circa singoli elementi od azioni: oggetto dell’investigazione etica è dunque per Fromm il carattere, vizioso o virtuoso, e non singoli vizi o virtù isolate.
L’evoluzione del pensiero etico che Freud e la psicoanalisi resero possibile è dovuta al fatto che la scoperta delle motivazioni inconsce rendeva possibile la formulazione di giudizi di valore in riferimento non tanto agli atti stessi, bensì alle motivazioni, spesso incoscienti, ad essi sottese; in ciò Freud ha contribuito a disilludere, al pari di altri pensatori come Marx e Nietzsche, il compiacente ottimismo del positivismo ottocentesco, e dopo di lui non è stato più sufficiente affermare di agire secondo coscienza per essere ritenuti virtuosi, poiché è proprio alla nostra stessa coscienza che spesso risultano oscuri i veri moventi del nostro agire.
Ciò nonostante il relativismo di Freud lo portò ad affermare, osserva Fromm, che, benché la sua psicologia potesse aiutarci a comprendere le motivazioni dei giudizi di valore, ben poco potesse invece dirci sulla validità di tali giudizi. (28)
Nella teoria del Super-Io, la coscienza si identifica con una autorità interiorizzata, e qualsiasi proibizione o prescrizione può divenirne un contenuto. La concezione freudiana della coscienza sembra così descrivere adeguatamente quella che Fromm definisce ‘coscienza autoritaria’, ma è assai lontana dalla sua concezione di ‘coscienza umanistica’.
Mentre quest’ultima sta alla base di un’etica umanistica i cui principi sono quelli che ho sopra illustrato, la coscienza autoritaria è il prodotto di un’etica autoritaria, nella quale è appunto l’autorità che proclama leggi e regole di condotta, assimilati dall’individuo che vi si adatti dinamicamente a prescindere dalla loro legittimità.
La distinzione tra i due tipi di etica potrebbe dunque ricondurre alle considerazioni fatte a proposito della libertà umana: mentre l’etica umanistica è creata dall’uomo, che stabilisce autonomamente le proprie norme in funzione dei valori supremi della vita e della felicità umane, nell’etica autoritaria l’uomo si trova ad essere determinato, dovendo sottostare ad un insieme di precetti che egli considera legittimi semplicemente per il fatto che a promulgarli è un’autorità riconosciuta.
L’accettazione di una tale autorità e dell’etica che questa comporta risulta deleteria per il suo sviluppo, ed arrestando il suo cammino verso la libertà risulta favorire quelle potenzialità secondarie alla natura umana che, come si è visto, sono costituite dalle passioni maligne, che determinano l’uomo spingendolo verso soluzioni inadeguate e distruttive al problema della propria esistenza. (29)
Parallela alla distinzione tra etica umanistica ed etica autoritaria è quella tra autorità razionale e autorità irrazionale. L’autorità razionale deriva sempre dalla competenza: essa non è condizionata, come l’autorità irrazionale, dal timore reverenziale verso chi la possiede, ma dalla sua capacità in un ambito specifico, ed è sempre criticabile e revocabile da parte di coloro nei confronti dei quali viene esercitata. Autorità e soggetto si differenziano in tal caso esclusivamente sulla base della maggior o minor conoscenza in un campo particolare.
L’autorità irrazionale deriva invece da un potere imposto e si fonda sul timore irrazionale o coercitivo nei confronti di esso: essa si basa sulla diseguaglianza, sulla pretesa naturale superiorità di chi possiede il potere rispetto a chi vi è soggetto, ed ogni critica verso di essa è pertanto interdetta e passibile di punizione.
Secondo un criterio formale l’etica autoritaria si distingue da quella umanistica in quanto nega la possibilità dell’uomo di discernere il bene dal male: norme e leggi sono dunque considerate come necessarie e legittime in quanto promulgate da un’entità che trascende l’individuo, da una fonte superiore cui l’uomo si sottomette.
Secondo un criterio materiale, ossia nel contenuto, essa stabilisce i propri giudizi di valore in funzione degli interessi dell’autorità e non, come l’etica umanistica, in funzione dei bisogni e della felicità degli individui. A prescindere dal fatto che la maniera in cui essa è esercitata dipende comunque da chi riveste una posizione di potere, e nonostante che talvolta anche chi ad essa è soggetto possa trarne dei benefici, l’autorità irrazionale è per sua natura un’autorità sfruttatrice. In essa la sottomissione al potere è la maggior virtù e la disobbedienza il peccato più grande.
La ribellione, il mettere in questione il naturale diritto dell’autorità a mantenersi tale ed il fatto che essa operi nell’interesse di tutti, è il più grande attacco che si possa muovere contro di essa.
Al contrario, l’etica umanistica si fonda, formalmente, sul principio secondo il quale solo l’individuo può stabilire in cosa consistano vizio e virtù e, materialmente, sul considerare unico criterio di tale giudizio il benessere umano.
Come si è visto, di una tale etica è intriso tutto il pensiero di Fromm: egli, come si è più volte affermato, considera le differenze tra le strutture caratteriali, tra i diversi sistemi di pensiero e tra i tipi di struttura socioeconomica, come differenze qualitative in virtù del loro ostacolare o favorire il completo sviluppo di se stessi da parte del maggior numero di individui, cioè a dire, la progressiva umanizzazione dell’umanità.

(28) Fromm nota come il relativismo di Freud sembri però scomparire riguardo ad altre sue concezioni nelle quali egli manifesta apertamente la sua appassionata fede nella verità. Pur rifiutando la teoria della libido come genesi degli orientamenti del carattere, Fromm riconosce che anche la caratterologia di Freud implica un giudizio etico obiettivamente valido: è per egli evidente che il ‘carattere genitale’, proprio dell’individuo maturo, sia considerato da Freud come eticamente superiore rispetto a quei caratteri il cui sviluppo nevrotico è causato dalla fissazione o regressione della libido alle rispettive zone erogene. Anche Freud sembra dunque possedere una concezione non relativistica di virtù, che in ultima analisi si identifica con la sua idea di salute.
(29) Nella psicologia di Freud l’esigenza dell’accettazione di un’etica che presenta preponderanti caratteristiche autoritarie è conseguenza, secondo Fromm, della sua concezione circa l’innata malvagità dell’uomo: considerando impulsi perversi, incestuosi ed omicidi come parte integrante della natura umana, appare certo accettabile, osserva Fromm, concepire come legittimi tabù e sistemi morali volti a proteggere la società e l’individuo stesso dall’espressione di tali impulsi.

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Andrea Ciacci - Tesi di Laurea in Psicologia - Anno Accademico 2003/2004
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Ultimo aggiornamento: 04-dic-2004.