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Determinismo e libertà
Ho già esposto come le passioni umanistiche, e quelle irrazionali
costituenti potenzialità ad esse secondarie, non siano determinate una volta per
tutte da una natura umana fissa e immodificabile, ma si sviluppino bensì nel
corso dell’evoluzione umana, come prodotto della storia che, come Fromm afferma,
è creata dall’uomo.
La possibilità di percorrere la via progressiva o, rispettivamente, quella
regressiva, come soluzione alla contraddizione esistenziale dell’uomo porta a
considerare il problema della sua libertà.
Considerando l’uomo come determinato, costantemente in balia di influssi
ambientali e di circostanze sociali sulle quali egli non ha alcun controllo, si
esclude la possibilità stessa della psicoanalisi di poter contribuire,
modificando la struttura psichica del paziente, ad alleviare le sue sofferenze
indirizzandolo verso la guarigione.
Ciò porta Fromm a rifiutare il ‘determinismo duro’, ma nell’originale
soluzione che egli propone al problema della libertà umana nondimeno egli
respinge la posizione indeterministica.
Nelle opere di pensatori come Freud e Marx, verso le quali è costante il suo
riferimento (sia tramite la critica che riconoscendone i meriti rispettivi),
Fromm scorge una terza possibilità tra lo stretto determinismo e l’indeterminismo.
Sia Marx che Freud infatti, pur considerando l’uomo come fortemente
condizionato da circostanze in linea di massima al di fuori del suo controllo,
proponevano come meta una liberazione dell’umanità, o dell’individuo, che
scaturisse dalla presa di coscienza di quelle forze dalle quali l’uomo è
determinato. Ciò comporta la possibilità che, grazie alla raggiunta
consapevolezza, tali forze potessero in qualche modo essere mutate o che si
potesse in una certa misura sottrarsi al loro influsso.
Per Freud tali forze erano costituite dalle motivazioni inconsce del
comportamento umano, ed egli si proponeva, tramite la terapia psicoanalitica, di
rendere cosciente l’inconscio del paziente, ritenendo che in tal modo egli
potesse divenire padrone di se stesso ed eludere l’influenza di quei meccanismi
che condannano l’uomo ad agire entro gli stessi perpetui schemi inadattivi.
“Dove c’è l’Id.” – affermava Freud – “ci sarà l’Ego.” (15)
Secondo Marx la liberazione consisteva nel prendere coscienza delle forze
inerenti la struttura economica del sistema sociale, e nello sbarazzarsi della
propria ‘falsa coscienza’ perpetuata per mezzo delle ideologie dominanti. Egli
riteneva che “la necessità di rinunciare alle illusioni sulla propria condizione
è la necessità di rinunciare a una condizione che ha bisogno di illusioni.” (16)
Essendo l’uomo innegabilmente condizionato da circostanze ambientali e
sociali, sia materialmente che per mezzo dell’influenza di queste sulla sua
struttura caratteriale, la posizione indeterministica risulta inaccettabile.
Poiché non si può considerare la libertà come libertà in astratto,
concretizzandosi comunque questa in una scelta tra opzioni disponibili in
situazioni reali, l’individuo consapevole (delle forze inconsce che lo muovono;
della totalità della situazione in cui si trova) potrà rendersi conto di come le
possibilità concrete tra le quali effettivamente egli può scegliere non siano
mai illimitate, e di come tali possibilità risultino nella maggior parte dei
casi riconducibili essenzialmente alle due soluzioni che l’uomo può dare al
problema della sua esistenza: quella progressiva e quella regressiva.
La vera libertà di cui si può parlare è dunque quella che pone la scelta tra
l’ascoltare la voce della propria (buona) coscienza ed esprimere le proprie
passioni umanistiche, ed il lasciarsi trasportare dalle passioni irrazionali
conseguenti alla frustrazione della propria vitalità ed all’arresto nel processo
di individuazione.
Finché nessuno dei due tipi di passione ha già sopraffatto l’altro, l’uomo è
libero. Ma egli può altresì perdere questa libertà: il suo procrastinare sulla
via regressiva, o lo scegliere costantemente secondo ragione condiziona infatti
l’individuo e lo induce a continuare il proprio cammino nella direzione
intrapresa.
Come in una partita di scacchi, nella quale le possibilità di vittoria di
ciascun giocatore sono condizionate dall’esito delle mosse precedenti da lui
effettuate, quanto più le persone prendono decisioni sbagliate, tanto più si
faranno trascinare da passioni irrazionali, quanto più scelgono con
consapevolezza, tanto più sapranno ascoltare la propria ragione e sviluppare le
loro qualità più umane.
Così, risulta come Fromm non consideri la libertà di scelta come un
attributo dell’individuo, come una qualità che egli possieda o non possieda,
bensì come funzione della sua struttura caratteriale.
Mentre dunque per i deterministi in ogni situazione vi è una sola concreta
possibilità (la consapevolezza della quale costituiva per Hegel l’unica vera
libertà), e gli indeterministi contemplano un numero illimitato di possibilità
concretizzabili per l’individuo, Fromm sostiene che la libertà dell’uomo sia
limitata a quelle possibilità concrete effettivamente realizzabili, determinate
dalla situazione totale, e che si esprima in ultima istanza come alternativa di
scelta tra la soluzione progressiva e quella regressiva al problema della
propria esistenza. Fromm sostiene inoltre che tale scelta vada a ripercuotersi
sul sistema caratteriale, che a sua volta influisce sulla libertà dell’individuo
rendendo questi più o meno determinato ad agire in conformità rispettivamente
con ognuna delle due alternative.
Tale libertà, come già detto, può essere persa, ma ciò in fondo avviene solo
per una ristretta minoranza di individui. Si può perdere la capacità di agire
secondo coscienza per le troppe scelte già operate sulla via regressiva, così
come si può perdere la capacità di errare, una volta che le passioni irrazionali
risultino completamente estirpate per il costante progresso dell’individuo nel
processo di individuazione. Naturalmente quest’ultima situazione risulta
eticamente superiore ad ognuna delle altre due, e l’individuo che abbia perso
tale libertà è in realtà l’individuo veramente libero (nel senso di attributo
del suo carattere).
La maggior parte delle persone, tuttavia, sta nel mezzo tra questi due
estremi, e per essi la libertà di scegliere è ancora concreta: ognuna di esse
può cioè regredire all’orientamento arcaico, così come affermare
progressivamente la propria individualità. Ed il ruolo fondamentale che la
consapevolezza può svolgere nell’affermare questa libertà sta nel rendersi conto
quando essa è ancora presente, quando cioè si ha ancora la libertà di scegliere.
Sebbene diversi individui possano presentare notevoli divergenze rispetto
allo schema di orientamento dominante nella società, la scelta tra l’una e
l’altra alternativa è massicciamente condizionata dallo spirito della società in
cui si vive. Ed è per Fromm compito della ‘psicologia sociale analitica’
identificare le condizioni in cui è favorita ognuna delle due possibilità.
Nella misura in cui lo spirito della società in cui si vive favorisce od
ostacola il procedere sulla via progressiva della propria individuazione, esso
influenza la libertà degli individui, e le differenze tra le diverse strutture
sociali risultano pertanto essere differenze qualitative da un punto di vista
etico.
(15) S. Freud, “Das Ich und das Es” (1922); trad. it. “L’Io e l’Es”, Boringhieri,
Torino (1976), citato da Fromm in “Beyond the Chains of Illusion” (1962); trad.
it. “Marx e Freud”, Il Saggiatore, Milano (1968), pag. 5 della trad. italiana.
(16) K. Marx, “Zur Kritik der Hegelschen Rechtsphilosophy” (1843), trad. it. “Per
la critica della filosofia del diritto in Hegel”, Editori Riuniti, Roma (1966),
pag. 58.
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