LA SCIENZA DEL COLONIALISMO

Critica dell'antropologia culturale

Siamo tutti schiavi salariati

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Noi non saremo mai in grado di capire ciò che è diverso dal capitalismo finché non ne usciamo fuori. Ma per farlo dobbiamo rinunciare allo stile di vita borghese, a tutto ciò che i mercati rappresentano per la nostra vita quotidiana, all'esigenza stessa di avere uno Stato che regolamenta la società civile con le sue leggi e, quando queste vengono trasgredite, con le sue forze dell'ordine. È possibile questo? Sì, forse un giorno sarà possibile, se sapremo porne adesso le premesse fondamentali.

Siamo tutti schiavi di questo sistema, anche quando, avendo molti capitali, abbiamo necessità di farli fruttare al massimo, per non essere vinti dalla concorrenza o dagli imprevisti. Non ne usciamo neppure quando vogliamo costruire un contropotere ben organizzato, basato sulla criminalità privata. Infatti si è schiavi di una mentalità, quella dipendente dall'accumulazione di capitali e dallo sfruttamento del lavoro altrui.

Neppure gli antropologi o gli etnologi, che pur hanno frequentato delle realtà sociali completamente diverse dalla nostra, sono stati in grado di uscire dal sistema. Hanno perso un'occasione d'oro come i primi spagnoli quando incontrarono la comunità primitiva dei Lucayo. Non capirono che stavano distruggendo nuovamente il paradiso in cui un tempo tutti gli uomini erano vissuti. Nessun antropologo ha mai accettato di diventare “primitivo” come scelta di vita. Il che fa pensare che nessun antropologo sarà mai in grado di stabilire quali parti “umane”, quali “naturali” delle culture primitive possono essere adottate come modello alternativo al nostro stile di vita borghese.

L'antropologia può acquistare un suo significato positivo (dopo che, da quando è nata, non l'ha mai avuto) se smette d'essere un “nostro” studio sul “loro” stile di vita, e diventa finalmente una proposta del “loro” stile di vita in sostituzione del “nostro”. Siamo noi, infatti, che dobbiamo partire dal presupposto che nel nostro sistema sociale non c'è nulla né di umano né di naturale. Purtroppo però la tendenza a scomparire, da parte dei popoli primitivi, è un indizio sicuro che la nostra civiltà borghese non è più in grado di stabilire la differenza tra l'umano e il disumano, tra il naturale e l'artificiale.

Lo stesso socialismo, anche quando ha mostrato di saper criticare l'idea di proprietà privata dei fondamentali mezzi produttivi, non ha mai saputo rinunciare all'idea di Stato e tanto meno all'uso di una tecnologia simile a quella del capitalismo. Oggi, addirittura, vede nel mercato borghese la sua irrinunciabile ragion d'essere, reintroducendo così l'idea di proprietà privata. L'esperienza socialista cinese non può in alcun modo aver la pretesa di definirsi anti-capitalistica. Anzi, è probabile che in futuro ci si dovrà emancipare proprio da questa forma di capitalismo socializzato, che pretende d'essere “eticamente” superiore a quello di tipo occidentale.

Nel continente più povero del pianeta, l'Africa, non c'è nazione o villaggio che non voglia “occidentalizzarsi”. Cinquecento anni di colonialismo non sono minimamente serviti a favorire una contestazione globale del sistema capitalistico, in virtù della quale, rinunciando al primato del valore di scambio su quello d'uso, si finisca per mettere in discussione tutto quanto il sistema ha da offrire.

L'idea di una comunità locale autogestita, basata sull'autoconsumo e sul baratto delle eccedenze, viene vista dalle ideologie di destra o di sinistra come una forma di arretratezza da superare assolutamente. Gli imponenti flussi migratori verso l'occidente sono la testimonianza più eloquente che il capitalismo ha vinto su tutti i fronti.

Oggi, al massimo, si discute se questo capitalismo debba continuare a restare privato, come negli Stati Uniti, nell'Europa occidentale, in Giappone, ecc., oppure se debba essere regolamentato dallo Stato, come in Cina, in Russia, ecc. Nessuna guerra mondiale, nessuna crisi finanziaria di proporzioni gigantesche (come p. es. quella del 1929 o quella attuale, scoppiata nel 2008) è stata capace d'indurre l'umanità a ripensare radicalmente il proprio stile di vita. Si vuole ostinatamente credere nel progresso tecnico-scientifico, non si vuole rinunciare ad alcuna comodità, che quel progresso sembra garantire, anche se oggi, ancora timidamente, alla luce della incalzante devastazione ambientale, il dubbio scettico va facendosi strada. Si preferisce guardare solo in avanti, nella speranza che la scienza sappia trovare rimedio ai propri errori.

Qualunque stile di vita pre-borghese, antecedente al capitalismo, viene considerato negativamente: al massimo viene accettato come curiosità intellettuale o come momentanea esperienza (in un contesto per lo più turistico). Se mai è esistito nel passato un paradiso terrestre, oggi lo si considera irrimediabilmente perduto, a meno che non lo si sappia ricreare artificialmente in qualche parte del mondo, grazie ai capitali accumulati illecitamente. Non ci interessa neppure l'idea che il benessere di pochi (noi occidentali siamo in fondo una minoranza privilegiata nel contesto internazionale) si regge in piedi grazie allo sfruttamento di molti (al cosiddetto “Terzo Mondo” oggi si sono andati sommando i paesi dell'ex socialismo di stato, preda insperata di rapaci speculatori). Ci interessa soltanto appartenere, in un modo o nell'altro, alla categoria dei benestanti.

Anche di fronte ai sempre più gravi disastri ambientali, non mutiamo atteggiamento, se non nelle piccole cose (tentando p.es. di differenziare i rifiuti), illudendoci che in tale maniera i grandi problemi possano essere risolti. D'altra parte siamo convinti che ai guasti della tecno-scienza si possa porre rimedio soltanto con una nuova tecnoscienza. La fede nel progresso, che dai tempi dei Comuni italiani, non ci ha mai abbandonato, ci impedisce di credere nell'esistenza di problemi irrisolvibili. Siamo convinti che, in ultima istanza, vi sia sempre una via d'uscita all'autodistruzione.

Tutto ciò porta a pensare solo una cosa: è impossibile uscire dal sistema se il sistema non va incontro a distruzione di portata epocale. Gli uomini non riescono ad imparare dai propri errori, a meno che questi errori non siano così catastrofici da obbligare a farlo. Ma devono essere davvero apocalittici, cioè acutissimi e generalizzati, tali per cui intere popolazioni vengano messe in ginocchio. Infatti, se riusciamo a intravedere anche solo una minima possibilità per evitare un radicale ripensamento del nostro stile di vita, di sicuro non ce la facciamo sfuggire.

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Ora però vediamo di dire le stesse cose in altra maniera, per punti salienti, a mo' di programma politico per le future generazioni.

- Dal punto di vista ambientale sembra che l'umanità si stia progressivamente autodistruggendo, nel senso che il capitalismo impone al mondo intero uno stile di vita sempre più incompatibile con le esigenze ecologiche. Eventuali guerre mondiali (nucleari o convenzionali) rischiano soltanto di accelerare un processo che appare irreversibile.

- Da tali processi autodistruttivi tenderanno inevitabilmente a salvarsi i gruppi umani più potenti, dotati di più mezzi, i quali non potranno garantire alcuna vera alternativa. Per questa ragione i proprietari dei mezzi produttivi vanno espropriati e resi inoffensivi.

- Occorre evitare che vecchie forme di antagonismo sociale vengano sostituite da nuove forme. Questo è possibile solo in presenza di processi politicamente rivoluzionari. Tuttavia all'interno di tali processi va garantita una solida democrazia sociale, e questo non è possibile farlo in presenza dello Stato e del Mercato, che sono entità tendenzialmente indipendenti dalla volontà umana generale o da un controllo razionale delle grandi collettività.

- Se anche si formassero “isole di felicità”, resta il problema che esse, da sole, non sarebbero in grado di difendersi dagli attacchi di un sistema che, coi mezzi di cui dispone, sarebbe facilmente in grado di avere la meglio. Di qui l'esigenza di compiere una rivoluzione politica che gestisca le leve del potere e che permetta alle autonomie locali di svilupparsi come meglio credono, nell'ambito del socialismo e della democrazia.

- In generale il disarmo è la prima condizione per garantire sicurezza e democrazia a tutti. Bisogna assicurare l'umanità intera che nessuno potrà prevalere su altri in forza delle proprie armi. Tutti devono essere messi in condizione di potersi difendere, ma nessuno deve poter pensare di attaccare usando mezzi che altri non hanno o non possono avere per motivi contingenti.

- Se l'umanità è destinata a popolare l'universo, è bene sapere con quali criteri farlo. Dalle esperienze negative bisogna saper trarre indicazioni positive. “Non dover comportarsi così” è già un passo avanti.

- L'umanità non ha bisogno di un “salvatore”. Per costruire comunità locali autogestite occorre una volontà collettiva. La responsabilità della tutela ambientale, cioè la decisione di rispettare il principio secondo cui le esigenze riproduttive della natura sono superiori a quelle produttive degli esseri umani, va affidata alla comunità locale autogestita.

- Se non si elimina la divisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale; se non si supera la divisione tra chi produce e chi comanda o tra chi possiede e chi lavora; se non si risolve la contrapposizione tra città e campagna, nessuna democrazia è possibile.

- Se non si realizza l'uguaglianza di genere, nessuna democrazia è possibile. Ma l'uguaglianza di genere non è possibile con due corporature fisiche così diverse se non concedendo a una più diritti che all'altra. Se nel sistema dell'agricoltura la donna è destinata a diventare un oggetto dell'uomo, esattamente come la terra, allora l'unico uso possibile della terra è quello dell'orticoltura, in cui anche la donna può tranquillamente cimentarsi.

- Se non si rispetta la libertà di coscienza, nessuna democrazia è possibile. La libertà di religione e di ateismo rientra nella libertà di coscienza. Quindi non è possibile che una democrazia politica faccia proprio un determinato atteggiamento nei confronti della religione. L'unico atteggiamento possibile è quello laico, che concede alla coscienza piena libertà in merito.



Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Antropologia
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